Si conclude oggi a Roma, con una manifestazione in piazza Campo de’ Fiori, la settimana di iniziative per la liberazione del leader palestinese Marwan Barghouti e degli oltre cinquemila prigionieri rinchiusi nelle carceri israeliane.
Il caso Barghouti è ritornato all’attenzione dell’opinione pubblica proprio in occasione della visita da parte del presidente palestinese Abu Mazen a Washington, lo scorso 17 marzo, e con la pubblica richiesta, fatta a Barack Obama, di un’intercessione presso le istituzioni israeliane per la liberazione del prigioniero.
«Non sono un terrorista, ma non sono neppure un pacifista – aveva dichiarato Barghouti al Washington Post nel gennaio del 2002, pochi mesi prima del suo arresto –. Sono semplicemente un normale uomo della strada palestinese, che difende la causa che ogni oppresso difende: il diritto di difendermi in assenza di ogni altro aiuto che possa venirmi da altre parti».
Capo del Tanzim-Fatah, la branca armata del Fatah, Barghouti è rinchiuso nel carcere di massima sicurezza israeliano di Hadarim già da dodici anni. Sta scontando una condanna a cinque ergastoli, perché riconosciuto colpevole di cinque omicidi – come ideatore e favoreggiatore – avvenuti nel corso di 33 attentati durante la seconda Intifada. Condanna che ad ogni modo lo stesso Barghouti non riconosce, perché emessa da un tribunale israeliano. Nonostante questo, potrebbe essere la figura individuata da Abu Mazen per allontanare i forti dubbi sulla successione alla presidenza dell’Autorità palestinese, indebolita dalle divisioni interne, polarizzate tra Abu Mazen e Mohammed Dahlan, leader del Fatah nella Striscia di Gaza. Al tempo stesso, viene visto dagli analisti internazionali come l’unico in grado di far rimarginare le ferite all’interno del Fatah e di innestare un percorso di pace, diretto verso la soluzione del doppio-stato, che non abbia correnti interne avverse. Stando ai sondaggi politici, Barghouti raggiungerebbe il 60% dei consensi tra i suoi concittadini, tanto da venire soprannominato “il Nelson Mandela palestinese”.
Attiva più d’ogni altro per la sua liberazione è la moglie, Fadwa, avvocato e fondatrice di un comitato per la liberazione del marito. «Lo rivogliamo a casa – ha dichiarato in occasione del suo recente arrivo a Roma -. Questo è il momento giusto per parlare di un suo rilascio». «Barghouti ha rinunciato alla violenza – spiega ancora la moglie – la sua mente è più chiara; l’esperienza della prigione, le sue letture, la sua contemplazione hanno esteso i suoi orizzonti». Ora, il suo obiettivo è trovare una via per la pace di entrambi, palestinesi e israeliani.
Roma, iniziative per la liberazione di Barghouti, il Mandela palestinese
17 Aprile 201453