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Al via riforme costituzionali, dietro solo macerie. E divisioni nei partiti

di Nino Fazio11 Marzo 2015
11 Marzo 2015
Avanti con le riforme costituzionali, dietro solo macerie. E divisioni nei partiti

Nella foto la Camera dei Deputati

Il cammino delle riforme costituzionali continua a discapito dell’unità dei partiti. Dopo il terzo sì di ieri al ddl Boschi in prima lettura alla Camera, trattandosi di riforme costituzionali, la palla passa nuovamente al Senato. Il dato macroscopico emerso dalla votazione è il dietro-front – tra l’altro ampiamente annunciato – di Forza Italia. In aula tutti compatti per il «no», con il solo Gianfranco Rotondi che ha votato a favore. Ma la decisione di Berlusconi, maturata dopo lo strappo di Renzi sull’elezione del Presidente della Repubblica, non è andata giù a molti deputati azzurri. Non ci sta ovviamente Denis Verdini, il tessitore del Patto del Nazareno, che da tempo si era inimicato gli uomini più vicini all’ex cavaliere.

Caro Silvio ti scrivo. Sono 18 i parlamentari azzurri a lui vicini che hanno inforcato la penna per esprimere «profondo disagio e dissenso rispetto alla decisione di votare contro le riforme istituzionali». I deputati rivendicano il ruolo avuto fino ad ora nelle riforme e precisano di aver votato «no» solo «per affetto e lealtà» nei confronti di Berlusconi. Nel mirino anche la riunione del gruppo alla Camera della vigilia, «un passaggio formale» come l’ha definita Renato Brunetta. E proprio il fatto «che si continui a riunirsi – scrivono i 18 – per ratificare decisioni già prese altrove» che vengono spacciate per unitarie non è andato giù. La spaccatura c’è e – come se non bastasse – viene ulteriormente evidenziata: «Come dimostra questo documento il gruppo non è né unito né persuaso della linea che è stata scelta». Lo scenario è in continua evoluzione, anche perché Berlusconi potrebbe trarre nuova linfa dall’assoluzione definitiva dal reato di concussione e prostituzione minorile (nell’affaire Ruby), arrivata nella notte.

Pd, cosa cova sotto la cenere. Malumori che serpeggiano anche nel partito Democratico, che per adesso tiene botta. La decisione di Fassina di non partecipare al voto e quella di Civati di votare contro sono solo la punta dell’iceberg. Sotto c’è tutto un lavorio di correnti, mascherato dalla decisione dei bersaniani di votare a favore, rimandando lo scontro all’indomani delle elezioni regionali. Il partito, però, è sempre più diviso, come testimonia il documento firmato da 24 esponenti di Sinistradem – i cosiddetti cuperliani – che rivendicano fin da subito «autonomia di giudizio e di azione» e chiedono di riaprire il confronto sulla legge elettorale. In caso contrario – si legge nel documento – «ognuno si assumerà le sue responsabilità».

Nuova leve per il governo? In fermento anche gli ex 5 stelle. Mentre il movimento di Grillo decide di uscire dalla Camera e manifestare così la propria contrarietà alla «Schiforma» costituzionale – come l’ha chiamata il deputato Danilo Toninelli – i fuoriusciti puntano a entrare nel governo, magari chiedendo un ministero, come proposto da Lorenzo Battista, oggi nel Gruppo Misto.

Referendum scontato. I numeri cambiano continuamente e il cammino delle riforme si fa più complicato. Troppo pochi i 357 sì della Camera, ben al di sotto dei due terzi previsti per le riforme costituzionali. Sebbene si tratti della prima lettura, con Forza Italia fuori dai giochi e la minoranza dem che promette battaglia, anche il voto definitivo dovrebbe essere lontano dal quorum. L’ipotesi del referendum confermativo prende, così, sempre più corpo. Anche il premier Renzi ci punta forte: l’ultima parola dei cittadini potrebbe dare alla riforma principe del suo governo quella investitura che il Parlamento sembra volerle negare.

Nino Fazio

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