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Rider, la lotta per i diritti al tempo della gig economy

di Patrizio Ruviglioni14 Marzo 2019
14 Marzo 2019

Corrono da un angolo all’altro delle città, con mezzi di loro proprietà, consegnando pizze, sushi e altri cibi da asporto per pochi euro. E senza tutele. Sono i rider: l’esempio più lampante della gig economy, l’economia dei lavoretti. I loro datori di lavoro sono le piattaforme online di food delivery, come Deliveroo, Just Eat o Glovo. Loro invece sono inquadrati come lavoratori “autonomi”. Non hanno garanzie, sostengono ritmi forsennati e vanno ovunque li portino le ordinazioni dei clienti: con qualsiasi condizione meteo, a qualsiasi ora, a qualsiasi rischio. E, a volte, ci rimettono la vita.

Le morti bianche della gig economy
L’ultima vittima si chiamava Alberto Piscopo Pollini: aveva 19 anni, ed è morto in un incidente lo scorso dicembre, a Bari. Ad Andrea, che lavora come rider a Roma, è andata meglio: ci ha rimesso solo il motorino. “Chiaramente ogni riparazione è stata a spese mie” racconta sottolineando come “noi rider non siamo solo giovani studenti in cerca di lavoretti, ma anche quarantenni che, senza più un lavoro, sono costretti ad arrangiarsi in questo modo”.

Problemi e richieste
Queste storie si inseriscono in un panorama di disagi, per cui l’Unione Sindacale di Base e altre associazioni sindacali auto-organizzate (oltre a Cgil, Cisl e Uil) rivendicano soluzioni. “I rider sono il simbolo dello sfruttamento e dell’attuale economia” spiega Pietro Cusimano dell’Usb.

Il principale problema è il tipo di inquadramento: i fattorini 2.0 risultano lavoratori “autonomi”. Ed è questa la condizione che lamentano: non hanno obbligo di presentarsi al lavoro o di rispettare orari, ma sono pagati a cottimo e non hanno un’assicurazione Inail, dei contributi Inps per un’eventuale indennità di disoccupazione e un monte ore garantito. Inoltre non hanno ferie, malattia e nemmeno una maggiorazione retributiva qualora effettuino consegne con la neve, sotto la pioggia e nei festivi. Altra criticità è il salario: chi lavora a tempo pieno, riceve in media di 839 euro al mese. “Per riuscire a guadagnare cifre intorno agli 800 euro siamo costretti a lavorare circa 12 ore al giorno” spiega Andrea.

“In pratica sono lavoratori a tempo pieno subordinati”, sostengono sempre dall’Unione Sindacale di Base. Quello che chiede tutta la categoria è un contratto collettivo che segni una subordinazione “di fatto”, quando agli occhi della legge il rider continua a essere considerato “autonomo”. Così, dall’inverno 2016, sono arrivati scioperi, proteste, boicottaggi. E promesse.

Una storia di esperimenti
A livello locale, qualche tentativo di tutela c’è stato. Pioniera la Carta di Bologna, firmata lo scorso 31 maggio fra rider, sindacati e piattaforme online. “Ma è solo un accordo privato, non un contratto collettivo che, tra l’altro, è stato sottoscritto solo da un’azienda locale”, precisa Nicola Quondamatteo della Riders Union Bologna, l’organizzazione sindacale auto-organizzata firmataria del documento e in prima linea nella lotta per i diritti dei fattorini 2.0.

Sempre a livello locale, la Regione Lazio – lo scorso 20 marzo – ha approvato la prima legge in Italia per la tutela dei lavoratori digitali, rider compresi. Il testo prevede coperture su infortuni, norme di previdenza sociale, ma per il salario minimo si rimanda a un contratto collettivo nazionale. Ed è lì che “siamo ancora in stallo” assicura Cusimano evidenziando come “non si hanno progressi”.

Sul piano nazionale, il ministro del Lavoro Luigi Di Maio, all’inizio del suo mandato, aveva garantito impegno sulla questione. In estate c’erano state delle tavole rotonde fra sindacati, ministero e imprese, ma alla fine il dialogo si è arenato. Così, si è arrivati a mettere mano al caso tramite un emendamento sul decretone.

Lo scorso 18 marzo, però, al momento del via libera alla Camera la questione è rimasta fuori dal documento. “Estraneità della materia”, dice il testo d’analisi. E così si è tornati al punto di partenza.

Il silenzio delle piattaforme online
E se dal Ministero del lavoro, dopo lo stop del decretone, prevale solo silenzio, non è facile neanche desumere la posizione delle piattaforme online. Solo Deliveroo Italia si è recentemente pronunciata sulla questione, in occasione della pubblicazione di un sondaggio che annuncia la soddisfazione del 64% dei suoi rider per la “flessibilità” del contratto. “I rider ci scelgono per questo – ha annunciato Matteo Sarzana, general manager dell’azienda – ma anche perché offriamo tutele in caso di infortuni, danni a terzi e inattività temporanea in seguito a un sinistro”. Una serie di coperture riconosciute, ma ancora non inserite in un contratto nazionale.

Un futuro con “poche prospettive”
Quale futuro, quindi, per i rider? “Proseguiranno gli scioperi: noi non ci arrendiamo”, assicurano dalla Riders Union di Bologna. Più pessimista l’Usb: “Continueremo a parlare con questo governo, ma vediamo poche prospettive: abbiamo la speranza di una contrattualizzazione, ma la fiducia è poca e temiamo che dopo le Europee la situazione possa anche peggiorare”.

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