I bambini sono tra i più colpiti dall’emergenza sanitaria. Hanno smesso di andare a scuola, di giocare al parco, di compiere tutte le attività grazie alle quali possono socializzare con altri bambini. In questi mesi sono stati assistiti solo dai genitori. Ora però molti sono tornati al lavoro, le scuole sono ancora chiuse e non si sa nemmeno se riapriranno i centri estivi. Sulla difficile situazione in cui versano famiglie e bambini, Lumsanews ha intervistato Irene Marino, psicologa pediatrica che collabora con con diverse associazioni che aderiscono al progetto di supporto psicologico attivato dal ministero della Salute per sostenere le famiglie in difficoltà.
Quali sono le ripercussioni – a livello psicologico – che tutta questa situazione sta avendo sui bambini?
“Ci troviamo in una fase che consentirebbe ai bambini di iniziare a riprendere, in modo graduale, una quotidianità diversa. Sarebbe bene spiegare loro cosa significhi questa nuova situazione”.
Quali sono i bambini più colpiti da questo cambiamento?
“I bambini che ne hanno risentito di più sono quelli della fascia pre-scolare e scolare, cioè dai 3 ai 9 anni circa. Le abitudini come frequentare la scuola, socializzare con i compagni, sperimentare nuovi contesti sono state interrotte e così i più piccoli si sono dovuti riadattare a un nuovo stile di vita”.
Quali sono state le difficoltà riscontrate?
“Ci sono stati bambini che hanno risentito dell’incertezza e dell’ansia che provavamo tutti. Ne hanno risentito sul piano, per esempio, del sonno. Altri invece avevano risvegli notturni continui. Nei bambini di 10-11 anni invece si è registrata una sorta di regressione: dal dormire da soli, in autonomia, alcuni hanno chiesto una maggiore vicinanza con i genitori”.
Sono segnali preoccupanti oppure è una reazione normale?
“Oggi si rischia un po’ di prendere per patologico qualsiasi atteggiamento, quando in realtà si tratta solo di manifestazioni reattive a preoccupazioni. Questo non vuol dire non porre l’attenzione se il bambino abbandona le attività che svolge regolarmente e si rifiuta, ad esempio, di seguire le lezioni. In questi mesi ho dovuto affrontare il caso di un bambino che ha avuto forti angosce di contaminazione. Aveva paura di contrarre il virus e questo lo portava a lavarsi continuamente le mani. Questo è un indice clinico che deve essere osservato con attenzione”.
Come possiamo aiutare i bambini a vivere questa nuova quotidianità?
“Quello che si può fare in questa fase è restituire in maniera graduale una vita quotidiana diversa. Tutto sta nell’aiutarli e accompagnarli in questa fase. Anche il messaggio iniziale, “andrà tutto bene”, va trasformato in “sta andando tutto bene”. Dobbiamo far capire loro che stiamo provando a tornare verso la normalità e che abbiamo dei riscontri positivi”.
A causa della pandemia, i bambini non hanno più potuto vedere i loro nonni, considerati per tanti un punto di riferimento. Cosa ha comportato questo?
“È importante aiutare i bambini ad accettare questa lontananza. È altrettanto fondamentale progettare con loro cosa poter fare con i nonni una volta finite le restrizioni. Sono idee che consentono la condivisione di una situazione nel qui ed ora, che danno al bambino la possibilità di avvicinarsi in maniera graduale al desiderio di vedere i nonni. Bisogna sempre dare un messaggio di ripresa graduale ma anche di progettualità. È chiaro che i bambini hanno avuto una perdita nella socializzazione ma, anche in questo caso, il messaggio da mandare è quello di ripresa possibile e graduale”.