Il giudice ecuadoriano Karina Martinez ha respinto il ricorso di Julian Assange contro il governo di Quito per presunte violazioni di diritti fondamentali. Il fondatore di Wikileaks è sotto protezione dal 2012 nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra; ormai ai ferri corti con il governo ecuadoriano da quando, 7 mesi fa, gli è stato negato l’accesso a internet per aver violato il divieto di diffondere messaggi di contenuto politico, il 12 ottobre Assange ha rifiutato il nuovo accordo di convivenza propostogli dalle autorità del consolato, ritenendo alcuni passaggi tra cui il pagarsi da solo le utenze ed il cibo, la pulizia del bagno personale e l’obbligo di accudire il suo gatto James come “negazione di diritti fondamentali”.
L’uomo ha quindi deciso, tramite il suo avvocato Baltasar Garzon, di intraprendere un’azione legale contro il governo del Presidente Lenìn Moreno. Ma la sentenza di ieri ha stabilito che i punti del nuovo accordo di convivenza non possano essere considerati “violazioni di diritti umani”, sottolineando come le autorità abbiano il diritto di prendere provvedimenti simili all’interno dell’ambasciata.
Il Ministro degli esteri Josè Valencia, in un’intervista all’emittente Teleamazonas, si era difeso assicurando che “non solo non abbiamo violato i suoi diritti, ma anzi stiamo garantendo tutti quelli previsti dall’asilo diplomatico che il nostro Paese gli ha concesso”. Per tutto questo, ha aggiunto, “ritengo che dovrebbe essere grato ad un Paese che lo ha accolto per oltre sei anni”. “Le nuove norme riguardano la necessità di regolare i rapporti tra il personale dell’ambasciata ed Assange, e nulla di più”, ha concluso.
Ma il capo di Wikileaks teme che con questi provvedimenti le autorità ecuadoriane vogliano costringerlo a lasciare l’ambasciata e, in teleconferenza durante l’udienza, ha denunciato il timore che il governo britannico voglia estradarlo negli Stati Uniti.