Inizia alle 10, a Montecitorio, la giornata che segna l’ultimo passaggio per l’insediamento del governo guidato da Matteo Renzi, pronto a incassare la fiducia da parte della Camera.
Fiducia senatori. Ottenuta invece ieri, all’una di notte, la fiducia del Senato, con 139 no e 169 sì (4 in meno del voto dato al governo Letta l’11 dicembre scorso e appena 8 in più della soglia minima prevista). Il Segretario democratico ha comunque avuto poco tempo per dormire, come testimonia il tweet pubblicato qualche ora dopo, alle 7 del mattino: «Ok il Senato, adesso la Camera. Poi si inizia a lavorare sul serio. Domani scuole, lavoratori, imprenditori, sindaci a Treviso. #lavoltabuona».
Tensioni e hashtag. Renzi avrebbe però sperato in una maggioranza più numerosa, e si presenterà dunque oggi a Montecitorio, numeri alla mano, con una preoccupazione crescente, creata dalle correnti interne ai democratici – civatiani su tutti.
«Non siamo malpancisti, siamo razionali – commenta il deputato Pd Pippo Civati -. Nessuno ha voluto prendere in considerazione il disagio al Senato, ma segnalo che se non ci fossero stati i perfidi senatori civatiani la maggioranza l’avrebbero assicurata soltanto i senatori a vita». Insomma, un avvertimento “urlato” a Renzi, sul proprio peso all’interno della maggioranza e sull’instabilità che questo esecutivo potrebbe avere nel lungo termine, se non dovesse farsi carico di alcuni elementi specifici. E nello scontro interno al Pd, si passa anche dalle dichiarazioni-social: #matteostaisereno è l’hashtag provocatorio lanciato dai deputati lettiani all’alba del voto di fiducia alla Camera, cui si aggiunge il fuoco “amico” del senatore bersaniano Miguel Gotor e della senatrice dalemiana Anna Finocchiaro.
Alla fine, complice l’affilatura dell’arma più temuta – il ritorno alle urne -, i democratici dissidenti hanno sparato a salve, rientrando nelle fila con “voti per disciplina di partito”, pur sempre sbandierando il proprio contrasto ideologico. Un calcio al cerchio e uno alla botte.
Attese. Oggi si attende da parte di Renzi un discorso diverso, con maggiore attenzione al programma di governo e alle riforme più urgenti; “diverso” soprattutto nell’atteggiamento, rispetto a quello tenuto al Senato durante il quale ha parlato a braccio, con gli appunti lasciati sul banco e le mani spesso in tasca. Un’aria di sufficienza forse coerente con il proprio desiderio d’essere l’ultimo Presidente a chiedere la fiducia a dei senatori, e magari il primo a chiederla a una Camera delle regioni.
Renzi: «Ok il Senato, ora la Camera. Poi lavorare sul serio»
25 Febbraio 201449
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