«Quali tasse ridurre lo decidiamo noi, non un euroburocrate a Bruxelles». Non le manda a dire il premier Matteo Renzi, interrogato dai giornalisti a margine dell’assemblea dell’Onu a New York. Il tema è il rapporto 2015 della Commissione europea sulle riforme fiscali negli Stati membri, che all’Italia suggerisce di ridurre il carico fiscale sul lavoro e aumentarlo su consumi, immobili e donazioni. Una ricetta almeno parzialmente diversa da quella di Palazzo Chigi, con lo stop alla Tasi dal 2016. Una promessa di tre settimane fa, ribadita ieri da Renzi: «Confermo qui che nella legge di stabilità ci sarà l’eliminazione della tassa sulla prima casa». L’Ue, spiega il premier, non dovrebbe mettere bocca sulle scelte fiscali dei singoli governi, ma piuttosto farsi sentire su altre questioni, come la crisi dei migranti.
Il presidente del Consiglio è pronto a dare battaglia per ottenere il via libera ai 17 miliardi di investimenti in deficit, in cambio di riforme. A tal proposito, Renzi ribadisce l’intenzione di andare fino in fondo con quella del Senato: «Nessuna impasse. Se uno presenta 80 milioni di emendamenti in una modalità tecnica non conforme al regolamento, di che stiamo parlando? L’ostruzionismo non ci fermerà». «L’idea che finalmente dopo tanto tempo non siamo più il problema dell’Europa è passata», dice ancora il premier dopo l’incontro con il gotha della finanza Usa («Buono, molto buono» il risultato, gongola una volta uscito). «L’Italia cresce e riparte se unisce la fiducia dei cittadini e ulteriori investimenti dall’estero, che oggi sono possibili perché siamo considerati solidi e stabili e un Paese che ha ancora molte carte da giocare».
Nonostante Renzi ostenti fiducia e faccia la voce grossa, resta aperta la questione della finanziaria. La cui bozza è attesa a metà ottobre, insieme a quelle degli altri Paesi, sulle scrivanie dei tecnici di Bruxelles, che daranno una valutazione sul complesso della legge. Il timore, però, è già chiaro: secondo il rapporto della Commissione, abolire le imposte sugli immobili non avrebbe che un impatto relativamente limitato sulla crescita dei consumi. Il risparmio, per chi è proprietario di case di basso valore – e dunque generalmente per le famiglie a basso reddito – sarebbe risibile; a beneficiarne, invece, sarebbero soprattutto i proprietari di immobili di pregio, quelli che già spendono. Senza contare che, secondo i dati della Banca d’Italia, finora soltanto il 45% delle famiglie con capofamiglia fino a 34 anni d’età è stato soggetto finora a Tasi o Imu, contro il 76% di quelle in cui il capofamiglia è over 55: sui giovani, insomma, l’effetto dello sgravio sarebbe più debole. Più conveniente, secondo la Commissione, sarebbe «ridurre l’onere fiscale complessivo sul lavoro». Togliere la tassa sulla casa, tuttavia, sarebbe una mossa dal notevole impatto psicologico e mediatico, a cui Renzi – e non sarebbe certo il primo – non vuole a nessun costo rinunciare.
Anna Bigano