Non serviva un dibattito tra capibastone per svelare le divisioni interne al Partito democratico in tema di articolo 18. Ma l’assemblea della direzione andata in scena ieri è quantomeno servita a giungere a una resa dei conti: in 130 sono con Matteo Renzi, solo in 20 con la “vecchia guardia” rappresentata da Bersani e D’Alema. Undici gli astenuti, guidati da Roberto Speranza per la corrente Areadem. Il Pd ha quindi scelto la linea da adottare per quel che riguarda la flessibilità in uscita dal mondo del lavoro: l’obbligo di reintegro resterà solo per i licenziamenti discriminatori (mai messo in dubbio) ma anche per quelli disciplinari – e questa è una novità di ieri che rappresenta un’apertura del premier alla minoranza – quando la motivazione è giudicata inesistente.
La “minoranza”, insomma, è andata in minoranza. Ora Renzi ha numeri tangibili dalla sua parte. Ma a cosa serviva scomodare la direzione per ore di discussione tra componenti dell’apparato? Secondo autorevoli commentatori intervenuti sui maggiori quotidiani nazionali, quella andata in scena ieri è l’ennesima prova di forza di Renzi che ha sfruttato per dimostrare di essersi sbarazzato del vecchio establishment del centrosinistra.
“La riforma del lavoro si fa quando c’è crescita e non quando c’è recessione”, ha affermato Massimo D’Alema, citando l’economista americano Joseph Stiglitz. “Quando D’Alema era premier – ha risposto Renzi – c’era crescita. Perché non ha fatto la riforma?”. Il copione è chiaro: Bersani e D’Alema rivendicano la possibilità di consigliare la linea al premier e Renzi risponde rinfacciando insuccessi che i due ex leader del centrosinistra hanno ottenuto dopo anni passati al governo del paese. Bersani ha lamentato il “metodo Boffo” contro di lui, osservazione sminuita da Renzi che ritiene al massimo di aver usato “il metodo buffo”, assicurando di essere sempre disponibile alla discussione. “Li ho spianati”, è stato l’esaustivo commento finale del premier.
E adesso? Domani in Senato iniziano le operazioni di voto sul Jobs act. Matteo Renzi ha escluso l’ipotesi franchi tiratori. Ma è il destino del Pd a preoccupare maggiormente. Secondo Il giornale, ieri si è assistito alla “morte del partito in diretta tv” e la scissione – ipotesi, per la verità sempre smentita da Bersani – sarebbe vicina. Intanto Berlusconi è scettico e prima di confermare il sostegno al Jobs act vuole leggere il testo approvato dalla direzione del Pd.
Sul fronte dei sindacati, le tre maggiori sigle italiane stanno cercando un’intesa non ancora raggiunta dopo la riunione di ieri. Ma la Cgil ha già annunciato che sarà in piazza a Roma il 25 ottobre.
Roberto Rotunno