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Renzi al capolinea?
Tutte le tappe di una
carriera fulminea

Nominato a 39 anni è il capo del governo

più giovane della storia d'Italia

di Marco Assab05 Marzo 2018
05 Marzo 2018

Il sindaco di Firenze Matteo Renzi, allora candidato alle primarie del Partito Democratico, durante un comizio presso il teatro Chiabrera di Savona, in una foto d'archivio del 14 settembre 2012. ANSA/LUCA ZENNARO

Se le dimissioni di Matteo Renzi saranno confermate, la stella dell’ex Presidente del Consiglio sembra declinare con la stessa rapidità con la quale è emersa, prepotentemente, nei primi anni di questo decennio. Una carriera fulminea che lo ha portato, a soli 39 anni e un mese, ad essere il più giovane capo del governo della storia del nostro Paese.

Renzi muove i primi passi in politica a metà anni ’90. Si iscrive nel 1996 al Partito Popolare Italiano. Ricopre negli anni successivi vari incarichi locali e, nel 2001, confluisce insieme al Ppi nella Margherita. La prima grande sfida politica Renzi la gioca alle elezioni provinciali del giugno 2004, e la vince. Sostenuto da una coalizione di centrosinistra, ottiene il 58% dei consensi e diviene presidente della Provincia di Firenze. Rimarrà a ricoprire questo incarico fino al 2009.

Dopo aver vinto nel 2008 le primarie per la candidatura a sindaco di Firenze, l’obiettivo diventa dunque la conquista di Palazzo Vecchio. Anche questa volta è un successo: il 22 giugno 2009, dopo aver vinto il ballottaggio, viene eletto sindaco di Firenze.

È un anno dopo, nell’estate del 2010, che Renzi lancia il movimento dei “rottamatori”. Da rottamare infatti sarebbero i vecchi dirigenti del Pd e da qui viene il soprannome “il rottamatore”. La prima Leopolda, del novembre 2010, Renzi la organizza insieme a Giuseppe Civati, che negli anni successivi sarà uno dei suoi critici più intransigenti, fino alla definitiva separazione dei rispettivi percorsi politici.

Matteo Renzi nel 2010 ai tempi della prima Leopolda. Autore: BTO – Buy Tourism Online Powered BTO Educational. Fonte: https://www.flickr.com/photos/btouniversity/5241159499/

Renzi decide quindi di correre, nel 2012, per le primarie della coalizione di centrosinistra che si presenterà alle politiche del 2013. Arriva però la prima sconfitta. Al ballottaggio prevale infatti Pier Luigi Bersani. Ma l’Italia politica che esce dalle urne del febbraio 2013 è un mostro a tre teste che rende, di fatto, impossibile a Bersani la formazione di un proprio esecutivo. La coalizione guidata dal segretario democratico conquista il 29,55%; la coalizione di centrodestra, dopo una pazzesca rimonta di Berlusconi, ottiene il 29,18%; il Movimento 5 Stelle invece fa il suo ingresso in Parlamento con un sonoro 25,56%. Toccherà quindi ad Enrico Letta e alle larghe intese.

Nel frattempo, sempre nel 2013, Renzi ci riprova, questa volta candidandosi alle primarie di un Partito Democratico scosso per il risultato elettorale al di sotto delle attese: non c’è storia. Viene eletto segretario con il 67,5% dei voti. A questo punto, in un’Italia dove cresce lo scontento e la crisi economica morde, l’obiettivo ultimo è Palazzo Chigi.

Il momento propizio si presenta nel febbraio del 2014 quando Enrico Letta, dopo una votazione a larga maggioranza da parte della Direzione del Pd, rassegna le sue dimissioni. Renzi viene dunque incaricato da Giorgio Napolitano e forma il suo governo, che presta giuramento il 22 febbraio 2014. Il picco del consenso il Pd a guida renziana lo tocca nel maggio 2014, quando conquista il 40% alle elezioni europee.

Renzi resterà a Palazzo Chigi per 1000 giorni, dove si alterneranno una serie di riforme, dal Jobs Act alla Buona Scuola, passando per il famigerato bonus Irpef da 80 euro, fino alla più grande e ambiziosa: quella costituzionale, che sarà affossata con il referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, dove il 59,12% dei votanti si esprimerà per il No.

Si interrompe così, bruscamente, l’esperienza di governo. E da quel momento, sondaggi alla mano, nonostante la riconferma alle primarie del 2017 come segretario del Pd con un netto 69%, il partito erode lentamente e costantemente il proprio consenso, fino al tonfo che nessuno avrebbe immaginato. È dunque giunta a capolinea la parabola di Matteo Renzi?

 

 

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