Giulio Regeni poteva essere salvato. È quanto emerge dalla relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte del ricercatore italiano, approvata ieri all’unanimità. Dopo due lunghi anni, perciò, si fa luce sulla vicenda e arriva la forte condanna nei confronti dell’Egitto.
Nella relazione, infatti, si legge chiaramente che “la responsabilità del sequestro, della tortura e dell’uccisione di Giulio Regeni grava direttamente sugli apparati di sicurezza della Repubblica araba d’Egitto, e in particolare su funzionari della National Security Agency”. Ma non è tutto. Dalle carte emerge anche gli apparati egiziani avrebbero potuto salvare Regeni, ma hanno scelto di non farlo. Inoltre, negli interminabili nove giorni tra la sparizione e il ritrovamento del cadavere del giovane, gli agenti egiziani hanno mentito al nostro Paese ripetendo più volte di non conoscere e di non aver arrestato il ricercatore. Il Parlamento ha poi attaccato il governo italiano che, a suo dire, negli ultimi anni ha raggiunto dei risultati solo parziali non avendo fatto adeguatamente pressione sul Cairo e avendo anzi ripristinato dopo poco tempo le relazioni economiche e diplomatiche con l’Egitto.
Negli atti allegati alla relazione vengono poi svelati i retroscena degli attimi immediatamente successivi al sequestro di Regeni. Si racconta come, fin da subito, si sia cercato di stabilire un contatto con la National Security. L’American University, ateneo in cui Giulio stava lavorando alla sua tesi di dottorato, fu la prima a muoversi non ottenendo però risposte. Il responsabile della sicurezza dell’Università, Mohamed Ebeid, venne però ricontattato e rassicurato: il ricercatore non era stato arrestato né si trovava in alcuna stazione di polizia. Era tutto falso.
In ogni caso, gli argomenti riportati dalla Commissione richiamano quanto già chiesto lo scorso maggio dalla procura di Roma e ha chiesto che l’Egitto sia portato davanti alla Corte penale internazionale dell’Aja per aver violato la Convenzione Onu sulla tortura.