«Dio salvi il Regno Unito!» A pochi giorni dal referendum che giovedì potrebbe avviare il processo di indipendenza della Scozia, anche Elisabetta II si getta, sia pure pacatamente, nella mischia. Pur senza fare riferimenti espliciti alla consultazione popolare, la sovrana ha infatti auspicato che «la gente penserà con molta attenzione al futuro», anche se poi Buckingham Palace ha parlato di «conversazioni private» della sovrana indebitamente trascritte, ribadendo l’«imparzialità costituzionale» di Elisabetta.
Da Elisabetta I a Elisabetta II. In ogni caso la regina non rischia molto: il first minister scozzese e leader dello Scottish Nazional Party (SNP), Alex Salmond, ha già precisato più volte che anche in caso di indipendenza, gli scozzesi continuerebbero a riconoscerla come Capo di Stato, allo stesso modo di Canada, Australia e altre tredici ex colonie britanniche, oggi Stati indipendenti con un seggio all’ONU ma ancora legate alla ex madrepatria dal Commonwealth of Nations. L’eventuale annullamento dell’Act of Union del 1707, riporterebbe così l’isola britannica al XVII secolo, con due regni indipendenti ma un unico sovrano fin da quando, nel 1603, Giacomo VI Stuart di Scozia aveva ereditato anche la corona d’Inghilterra, lasciata vacante dalla dinastia Tudor alla morte di Elisabetta I, trasferendosi a Londra per regnare con il nome di Giacomo I d’Inghilterra.
Il pragmatismo scozzese. Nonostante possano vantare questo “credito” con la Storia, però, gli scozzesi mantengono fede alla loro fama di persone pratiche: la campagna elettorale si è giocata tutta sui possibili vantaggi – economici e fiscali, ma anche di migliore tutela dell’ambiente – che l’indipendenza potrebbe offrire ai cinque milioni di devoti di Sant’Andrea. Una Scozia indipendente potrebbe infatti gestire in proprio il petrolio del mare del Nord ed imporre un affitto alla Marina britannica per l’uso delle sue basi. Sull’altro piatto della bilancia ci sarebbe invece la rinuncia forzata ai trasferimenti annuali da Londra e la possibile (ma non scontata, proprio in virtù della moral suasion che la regina Elisabetta potrebbe esercitare) opposizione del governo britannico all’adesione automatica della Scozia all’Unione europea.
«Too close to call». I sondaggi ormai registrano un sostanziale testa a testa, tanto che è impossibile fare previsioni, come ammettono sia Salmond che il capo della campagna per il “no”, Alistair Darling, ex Cancelliere dello Scacchiere (cioè ministro delle Finanze) nel governo Brown e ministro per la Scozia con Tony Blair. Decisivi saranno gli indecisi, stimati attualmente in circa 500mila, a cui in questi giorni viene rivolto un appello dopo l’altro. Sul fronte indipendentista, oltre a Salmond e al suo SNP, troviamo i Verdi e i Socialisti scozzesi, spalleggiati da celebrità come Sean Connery – che in caso di vittoria ha promesso di tornare a vivere in Scozia – e Vivienne Westwood, mentre apertamente contrari sono i finanzieri della City e i leader dei tre principali partiti britannici (dove però non mancano minoranze interne in controtendenza): l’attuale Primo ministro conservatore David Cameron, che ha promesso più autonomia per la Scozia; il suo principale sfidante alle elezioni del prossimo anno, il laburista Ed Miliband; ed il vice Primo ministro liberaldemocratico, Nick Clagg. Anche gli ultimi eventi potrebbero influenzare il voto: da una parte la simpatia per l’annunciato arrivo del secondo royal baby, dall’altra il dolore e l’indignazione per il brutale omicidio, da parte dei miliziani dello “Stato Islamico”, del cooperante scozzese David Haines, per cui il governo di Londra non aveva voluto pagare il riscatto.
Di Alessandro Testa