Domani l’Aula della Camera voterà l’approvazione al dl Recovery, tagliola da cui passa l’arrivo in Italia dei 21 miliardi di fondi del Pnrr. Un voto “blindato” dalla fiducia che oggi l’esecutivo ha posto sul decreto di attuazione in esame a Montecitorio. È vitale per il governo di Mario Draghi rispettare la scadenza del 27 dicembre per il voto in Parlamento. Dopo l’esame alla Camera, il testo passerà in Senato che darà, verosimilmente, il suo ok in tempo per la conferenza stampa di fine anno del premier, confermata per mercoledì.
I 21 miliardi finanziati dall’Unione europea, tra contributi a fondo perduto e prestiti, sono solo il primo traguardo di un percorso a ostacoli che finirà nel 2026. Il prossimo anno sarà quello più complesso pieno di montagne da scalare, anche se al momento l’Italia ha messo in sicurezza i 51 obiettivi del 2021. Il piano con l’Ue prevede infatti il completamento di riforme complesse, come quelle della concorrenza e del fisco. Ma anche nuove assunzioni nei tribunali e la definizione di norme per rendere più efficiente la gestione degli appalti pubblici. Tutto questo grazie all’arrivo di altri 40 miliardi di finanziamenti europei, ma con, nel mezzo, lo scoglio dell’elezione del Presidente della Repubblica.
Nella corsa contro il tempo per l’attuazione del Pnrr nei territori, l’allarme più grande per il 2022 viene dai comuni. Secondo i sindaci, c’è il rischio reale che i progetti si blocchino prima di partire. Sarebbero troppi i bandi ancora da lanciare entro gennaio e mancherebbero competenze e strutture di controllo. Tutto questo vale per gli enti locali circa 70 miliardi in più in sei anni. A ribadirlo con chiarezza il primo cittadino di Bari, Antonio Decaro, secondo cui il tema prioritario oggi è “la capacità dell’amministrazione di spendere risorse aggiuntive”. Su sanità, scuola, concorrenza ed efficientamento energetico si gioca la sfida dei comuni.