L’Italia è sempre più povera. Com’era prevedibile nel 2020, l’anno della pandemia, la povertà assoluta è aumentata in modo cospicuo. Lo rivelano i dati Istat: un milione in più di persone rispetto al 2019. Il numero assoluto di poveri sale a 5,6 milioni di individui, provocando un aumento dell’indice di povertà dal 7,7% al 9,4%.
I più penalizzati sono i working poor, per lo più residenti al Nord, che in questi mesi hanno perso il posto di lavoro precario nel settore terziario. Nel settentrione sono più di 218 mila le famiglie, circa 720 mila persone, sprofondate nel baratro della povertà assoluta. Nel Mezzogiorno l’aumento dei poveri è più limitato (186 mila unità), ma il numero assoluto rimane più ampio (l’11,1% degli individui).
Un bilancio negativo, ma che vista la portata della pandemia, avrebbe potuto registrare numeri peggiori. A tamponare la situazione sono stati il reddito di cittadinanza e il reddito di emergenza. Non a caso dove il reddito di cittadinanza è inferiore (Nord), l’indice di povertà è salito maggiormente. Una conferma di questo andamento viene da un ulteriore parametro che l’Istat ha fornito: l’intensità della povertà.
L’indice di povertà assoluta è uno dei tre parametri dell’indigenza: si ricava calcolando la distanza (intensità) della qualità della spesa delle famiglie/persone paragonata a una soglia minima di acquisti di beni e servizi essenziali per una vita accettabile. I dati dell’Istat dicono che questa distanza è diminuita, passando dal 20,3% al 18,7%. Questo dato conferma che nel 2020 molte famiglie, nonostante siano scivolate nella povertà assoluta, hanno mantenuto un regime di spesa dignitoso, grazie anche ai sussidi governativi. Chi come i lavoratori precari ne è rimasto escluso ha pagato il prezzo più alto.