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L’ombra del Sismi nel rapimento Moro, le rivelazioni dell’ex poliziotto

di Anna Bigano24 Marzo 2014
24 Marzo 2014

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Passano gli anni e il caso Moro, anziché dipanarsi, si fa sempre più fitto. L’ultima novità riguarda la dichiarazione rilasciata all’Ansa dall’ex poliziotto torinese Enrico Rossi. L’ispettore, oggi in pensione, racconta di esser giunto in possesso, a febbraio del 2011, della lettera scritta da uno dei due motociclisti avvistati in via Fani la mattina del 16 marzo 1978 e inviata al quotidiano La Stampa. I due, mai identificati, sarebbero stati agenti dei servizi segreti con il compito di coprire le spalle ai rapitori del segretario della Democrazia Cristiana.

La missiva al quotidiano. L’autore della lettera anonima arrivata al giornale torinese nell’ottobre del 2009 dichiara di aver deciso di scrivere poco prima di morire di cancro, in preda al rimorso per le azioni compiute e di aver dato disposizioni perché il documento fosse recapitato sei mesi dopo la sua morte. «La mattina del 16 marzo – spiega l’anonimo – ero su di una moto e operavo alle dipendenze del colonnello Guglielmi, con me alla guida della moto un altro uomo proveniente come me da Torino; il nostro compito era quello di proteggere le Br nella loro azione da disturbi di qualsiasi genere». In effetti, uno dei testimoni del rapimento, l’ingegner Antonio Marini, affermò all’epoca di aver visto sul posto una Honda, il cui ruolo nell’agguato non è mai stato chiarito. Così come non è stato chiarito perché l’ufficiale del Sismi Camillo Guglielmi si trovasse in via Fani intorno alle 9 del fatidico 16 marzo: la spiegazione fornita – un invito a pranzo a casa di un amico in via Stresa –  è sempre stata ritenuta poco plausibile dagli inquirenti.  La lettera del sedicente 007, trasmessa dalla Stampa alla magistratura di Torino, conteneva poi degli indizi per identificare il secondo centauro. Nel febbraio 2009 arrivò per caso, non protocollata, nelle mani dell’allora agente dell’antiterrorismo Enrico Rossi, che risalì all’indirizzo dell’ex moglie del guidatore della moto e dispose un accertamento amministrativo.

Gli ostacoli all’inchiesta. Nell’appartamento, racconta l’ex poliziotto, furono ritrovate due pistole e una copia dell’edizione originale di Repubblica che annunciava il sequestro Moro. Rossi chiese alla Digos di Cuneo di effettuare una perizia sulle armi e di interrogare il sospettato, ma nessuna delle due richieste venne soddisfatta. Nel frattempo il sospetto morì in Toscana e le pistole furono distrutte senza essere sottoposte alle analisi balistiche: «L’ennesima occasione persa», è il commento dell’agente, in pensione dal 2012 per «incomprensioni» con i superiori Le procure coinvolte, Cuneo, Torino e Roma, affermano invece di aver svolto indagini regolari, poi archiviate per mancanza di prove che testimoniassero il collegamento fra i due motociclisti e i servizi segreti.

Le dichiarazioni di Imposimato. Non è la prima volta, naturalmente, che i servizi segreti sono chiamati in causa nell’affare Moro. Fra i sostenitori di questa tesi c’è ad esempio Ferdinando Imposimato, giudice istruttore al tempo del rapimento del segretario Dc, che è tornato a ribadire nel luglio scorso che i servizi «avevano scoperto dove le Br lo nascondevano, così come i carabinieri. Il generale Dalla Chiesa avrebbe voluto intervenire con i suoi uomini e la Polizia per liberarlo in tutta sicurezza, ma due giorni prima dell’uccisione ricevettero l’ordine di abbandonare il luogo attiguo a quello della prigionia». Secondo il magistrato, l’omicidio sarebbe avvenuto dietro mandato delle più alte cariche dello Stato, Giulio Andreotti, Francesco Cossiga e Nicola Lettieri, allora sottosegretario agli Interni. E sarebbe soltanto una delle tante stragi per cui l’Italia non ha ancora avuto vere risposte.

Anna Bigano

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