L’immagine dell’operaio Daniele Simone legato ai cancelli dello stabilimento Embraco di Riva di Chieri (Torino), è il simbolo dello sconforto nei confronti dell’azienda brasiliana del gruppo Whirlpool, che ha deciso di licenziare 500 persone nel suo stabilimento italiano e di trasferire la produzione di compressori per frigoriferi in Slovacchia. “Non voglio mollare, è la mia fabbrica che mi ha dato da mangiare per 25 anni, finché c’è uno spiraglio non mollerò”, spiega l’operaio circondato da cento colleghi che si sono ritrovati alle 8 davanti alla fabbrica dove ci sono fotografi e televisioni
I lavoratori, utilizzando lo stesso termine di una dichiarazione fatta ieri dal ministro dello Sviluppo Economico Calenda, si dicono disgustati dall’atteggiamento dell’azienda e sfiduciati perché non vedono alcun tipo di prospettiva positiva. “Lavoreremo fino al 25 marzo per far cambiare idea all’azienda”, afferma Dario Basso, segretario generale della Uilm torinese. “A questo punto il governo deve agire, i tempi sono strettissimi. Se un’azienda vuole insediarsi bisogna fare in fretta”, osserva Ugo Bolognesi della Fiom.
Intanto il ministro dello Sviluppo Economico Calenda oggi è a Bruxelles per un incontro con la commissaria alla concorrenza Vestager e chiedere una deroga ai trattati per i singoli casi. “Ci sono condizioni che sono strutturali per cui alcuni paesi in una diversa fase di sviluppo come la Polonia hanno un costo del lavoro più basso” – ha detto il ministro a Radio anch’io – “io non potrei fare una norma che dice che per Embraco il costo del lavoro è un x più basso, perché sarebbe un aiuto di Stato. Ma penso si possano interpretare i trattati nel senso di dire che in questo specifico caso, cioè di un’azienda che si muove verso la Slovacchia, verso la Polonia, questa normativa può essere derogata. Vedremo quale sarà la risposta della Vestager”.
Calenda ha parlato stamattina di una “competizione non leale” da parte della Slovacchia, accusata di attirare le multinazionali offrendo condizioni di gran vantaggio anche grazie ai Fondi strutturali europei, che teoricamente non potrebbero esser usati per blandire le società. “Hanno cinque milioni di abitanti e si sono da poco affacciati al mercato: è come amministrare una grande città con l’aiuto dei Fondi europei. Così è facile”, ha attaccato Calenda.
Embraco non è l’unica multinazionale a scegliere di spostare le fabbriche a Est dell’Europa. Sempre verso la Slovacchia, si sta trasferendo un’altra multinazionale statunitense, la Honeywell, che chiude lo stabilimento di Atessa (380 lavoratori), dove si producono turbocompressori per motori diesel. «Una operazione strategica partita nel 2008 — spiega a Repubblica Nicola Manzi, che ha seguito passo passo la vertenza in quanto coordinatore per l’Abruzzo della Uilm -. Già dieci anni fa l’azienda ha cominciato a delocalizzare in Romania le attività dell’indotto. Poi, quando il mercato rumeno si è saturato, ha puntato tutto sulla Slovacchia. Per fortuna è arrivata la proroga della cassa integrazione ed è stato raggiunto un accordo per agevolare eventuali attività alternative». Le motivazioni sono di opportunità economica come racconta Manzi: «L’azienda è in utile e la produzione è assicurata, è solo una questione di costi. I fronte a questo evidente dumping infracomunitario, poco può fare il governo».