Ieri sera record di La7 con il 12,6% di share per la prima delle tre puntate di Quello che (non) ho, programma che celebra il ritorno della coppia Fazio-Saviano. “Un programma per ridare un senso alle parole”, è così che Fabio Fazio lo ha definito scegliendo alcuni versi di Gianni Rodari per aprire la puntata che è andata in onda, non a caso, dall’’ex stabilimento delle Officine Grandi Riparazioni di Torino.
La coppia, ormai collaudata dall’esperienza di Vieniviaconme in onda l’anno scorso su Rai 3, è ripartita proprio dallo stesso punto dal quale aveva lasciato, e cioè dai rapporti tra Lega e ‘ndrangheta, sui quali ancora è tornato l’autore di Gomorra. In quell’occasione la parola “interloquire” usata da Saviano per descrivere i rapporti tra ‘ndrangheta e Lega suscitò un’enorme polemica, si arrabbiarono tutti e addirittura l’allora ministro degli Interni Maroni chiese di poter intervenire nella puntata successiva. Il tesoriere della Lega, invece, “interloquiva eccome” –ha affermato Saviano ieri sera– anzi “conosceva benissimo i broker del clan De Stefano. Che bello se, invece di arrabbiarsi, avessero avuto voglia di interloquire con la procura antimafia”.
Appello contro i suicidi.
Saviano ha fatto, poi, un appello al governo Monti affinché, alla luce dei numerosi suicidi causati dalla crisi economica, possa decidere di aprire sportelli per aiutare la gente ad affrontare il debito e le tasse: “si muore per debiti, ma anche e soprattutto per amore dell’azienda e dei dipendenti cui non si ha il coraggio di dire che non ci saranno più stipendi”. Ha spiegato, inoltre, che a guadagnarci sono solo le mafie, “uniche a disporre di liquidità”. Nel secondo monologo lo scrittore ha ricostruito la scena della strage di Beslan, in Ossezia, dove morirono 186 bambini sequestrati dai separatisti ceceni.
Ospiti della puntata.
Molti gli ospiti provenienti dal mondo della letteratura, dello spettacolo, della politica le cui parole si sono intrecciate in un’omelia televisiva fra le tragedie dell’attualità e i ricordi del passato: Paolo Rossi ha fatto un monologo sulla “finanza”, Pupi Avati ha incentrato il suo intervento sulla spiegazione del significato di “sempre” e ha ricordato Lucio Dalla; Pierfrancesco Favino ha dedicato la parola “vita” alla figlia che deve nascere. E ancora Massimo Gramellini con la parola “forza”, Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, che ha tessuto l’elogio dei contadini, della natura, della “Terra”; Domenico Rea ha parlato di “impossibile”. La parola affidata a Erri De Luca è stata “ponte”, Maurizio Landini, segretario generale della Fiom, ha ricordato il suo lavoro d’apprendista saldatore. Non è mancata la buona musica, quella di Elisa che ha cantato Father and son di Cat Stevens e quella dei Litfiba .
La Littizzetto, immancabile nelle trasmissioni di Fazio, ha raccontato con la solita ironia l’orgoglio di nascere donne e ha fatto un appello contro la violenza ricordando le 55 donne che dall’inizio dell’anno sono morte perché ammazzate dai loro uomini.
Il duo Travaglio-Lerner si è sfidato “a duello” su politica e antipolitica: “non è un mestiere, è un servizio. Ma nel senso di servire, non di servirsi e circondarsi di servi”, afferma Travaglio. E continua “oggi la vera antipolitica è quella che chiamiamo politica. È fare i presidenti della Repubblica a 87 anni e lanciare moniti per il rinnovamento della politica e per i giovani”.
“Quello che non abbiamo più è Antonio Tabucchi”, ha lamentato Fazio. “Quello che non ho più è Peppe D’Avanzo”, ha replicato Saviano, ricordando il giornalista di Repubblica scomparso l’anno scorso. Poi, però, il conduttore di Che tempo che fa ha sottolineato che ci sono rimasti “i libri di Tabucchi”, e Saviano ha detto di aver imparato da D’Avanzo che “i fatti non sono mai al sicuro nelle mani del potere”. Di Fazio è stata l’ultima parola che ha chiuso la puntata: “quello che ho, è un Presidente della Repubblica di cui sono orgoglioso”.
Francesca Polacco