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Quattro medici di Villa Mafalda indagati per la morte dello scrittore Alberto Bevilacqua

di Francesca Polacco12 Settembre 2013
12 Settembre 2013

Alberto BevilacquaÈ di omicidio colposo l’ipotesi di reato che ha portato la procura di Roma ad iscrivere nel registro degli indagati quattro medici della clinica Villa Mafalda dove lunedì scorso, dopo undici mesi di ricovero, è deceduto lo scrittore Alberto Bevilacqua all’età di 79 anni. Sono l’ex direttore sanitario Mario Maggio e i professori Antonio Ciccaglioni, Claudio Di Giovanni e Giuseppe Gentile che, per tutto l’arco del ricovero, hanno seguito da vicino lo scrittore.
La vicenda. In realtà, già prima della morte di Bevilacqua, c’era un’inchiesta in corso poiché gli avvocati Giuseppe e Maria Rosa Zaccaria, legali della compagna dell’autore Michela Malauso, in arte Miti, avevano presentato in procura qualche mese fa una denuncia contro ignoti per lesioni colpose ritenendo che la struttura sanitaria non fosse adeguata alle esigenze del paziente, ricoverato l’11 ottobre 2012 per uno scompenso cardiaco. Sempre secondo quanto riferito dai due legali, negli ultimi tempi, le condizioni dell’autore di tanti successi editoriali erano peggiorate, a causa di una infezione da virus multiresistente e piaghe da decubito. Pertanto, il pm Elena Neri aveva disposto il sequestro delle cartelle cliniche e, a febbraio 2013, era stato anche nominato per Bevilacqua un amministratore di sostegno.
In virtù di questi precedenti, la sua compagna ha richiesto l’autopsia, il cui risultato non arriverà prima di un mese, convinta che il decesso sia stato provocato da cure e terapie inadeguate.
«Quelle piaghe erano dovute al forte scompenso cardiaco dello scrittore» spiega Paolo Barillari, presidente della clinica. E si difende: «L’abbiamo curato con professionalità e affetto, era diventato come un parente per noi».
Querelle familiare. Intanto si consuma una querelle familiare tra la compagna e la sorella dell’autore, Anna. «L’ultima cosa che è riuscito a dire il mio Alberto, prima di perdere l’uso della parola, fu proprio di non chiamare i suoi parenti», dice Michela che gli è stata accanto per 19 anni. Parole che lasciano poco spazio all’ambiguità e che sottintendono un rapporto non proprio sereno tra Bevilacqua e sua sorella che vive a Parma. E prosegue la Malauso: «Non voleva rimanere a Villa Mafalda, voleva tornare a casa. L’hanno trattenuto contro la sua volontà». Ma soltanto Anna aveva la possibilità legale di farlo, prima della nomina dell’assistente di sostegno. A sua volta Anna, che è contraria all’esame autoptico: «Non me l’hanno fatto nemmeno accarezzare, sono arrivata a Roma che il suo corpo era già sotto sequestro all’obitorio. Il mio rapporto con lui – aggiunge – era speciale e tenero, di reciproco rispetto. Non era fatto di telefonate inutili». E da Parma ribadisce un aspetto che le sta a cuore e su cui si cerca di fare dietrologie: «Dell’eredità di Alberto non me ne importa niente. Se fosse diventato povero per curarsi l’avrei ospitato qui a casa mia».

Francesca Polacco

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