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un manuale per usare i termini giusti e politicamente corretti

Quando le parole fanno male. Redattore Sociale presenta
un manuale per usare i termini giusti e politicamente corretti

di Paolo Costanzi22 Aprile 2013
22 Aprile 2013

Le parole sono importanti, fondamentali. Ne esistono di sbagliate? Clandestino, negro, badante, diversamente abile, lucciola. O piuttosto esiste un uso sbagliato di esse.
Un manuale per un “parlare corretto”. L’agenzia di stampa Redattore Sociale ha realizzato un piccolo manuale sul linguaggio e, appunto, sul come usare in modo corretto le parole. Il lavoro, presentato il 18 aprile a Roma durante il seminario “Parlare civile”, non è rivolto solo a chi si occupa d’informazione, ma è un ottimo strumento per chiunque voglia usare le parole con coscienza. A detta dello stesso Redattore Sociale questo manuale è «la prima guida italiana per imparare a comunicare senza discriminare», rispettando la dignità degli individui, dei gruppi e delle professioni di una società sempre più articolata e multiforme: «Le parole possono essere muri o ponti. Possono creare distanza o aiutare la comprensione dei problemi», si legge nel manuale.
Di cosa si tratta. Le tre autrici (Raffaella Maria Cosentino, Federica Dolente e Giorgia Serughetti) del volume analizzano e ripercorrono la storia di 25 parole chiave a cui se ne legano quasi 350, tra espressioni potenzialmente offensive come “persona di colore” e neologismi arbitrariamente coniati come “diversamente abile”. Nel volume sono raccolti anche titoli di giornali, siti internet, riviste e quant’altro, che presentano un uso scorretto delle parole prese in esame.
Un esempio. Clandestino, immigrato, profugo, migrante, rifugiato, extracomunitario, o richiedente asilo? Quale utilizzare? La scelta non dipende solo dalla parola, ma anche dal contesto, perché questi termini non sono sinonimi, e non si tratta nemmeno di essere più o meno politically correct, ma di dare il giusto nome ai concetti. Ad esempio la parola “clandestino” – molto diffusa a causa dell’uso spesso improprio che i media ne fanno per indicare lo straniero che entra o soggiorna in un Paese in violazione delle leggi sull’immigrazione – non corrisponde ad alcuna condizione giuridica. Come sottolinea lo staff del Redattore Sociale, per la legge italiana il “clandestino” non esiste. Inoltre, il reato di “clandestinità” «non è presente nel testo della legge Bossi-Fini. Il termine più giusto, anzi esatto, è quindi “migrante irregolare”».
Parlare civile. Insomma, per evitare di causare dolore o sofferenza ai soggetti interessati è indispensabile utilizzare le parole con precisione e consapevolezza. La scelta delle parole dovrebbe essere un lavoro costante portato avanti anche dai singoli cittadini che decidono di utilizzare in modo responsabile il linguaggio più appropriato, riuscendo così a riconoscere quando una comunicazione è sbagliata, o volutamente distorta.

Paolo Costanzi

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