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Quando il parto si trasforma in abuso

di Beatrice D'Ascenzi25 Settembre 2023
25 Settembre 2023

Photo by João Paulo de Souza Oliveira, Pixabay

Paura, umiliazione, maltrattamento fisico e verbale. Non sono le sensazioni che una madre dovrebbe provare nel momento in cui mette al mondo un figlio. È però quello che emerge dai racconti delle vittime di violenza ostetrica, parole che accendono i riflettori su un fenomeno diffuso, che segna fisicamente e psicologicamente le donne che lo subiscono. La storia che Rosa (nome di fantasia) racconta a Lumsanews è quella di un cesareo rimandato per giorni senza una spiegazione, di membri dello staff aggressivi e incuranti del suo dolore, infastiditi dalla sua sofferenza. ”Io stavo sempre più male e i dottori non si sono accorti che il mio bambino era in sofferenza fetale”, racconta. Ma cosa distingue l’esperienza di Rosa da un caso di malasanità?

La violenza ostetrica in Italia

In Italia il fenomeno, seppur diffuso, non viene molto analizzato. I dati a disposizione sono scarsi. Il primo e unico studio, voluto dall’Osservatorio contro la Violenza Ostetrica in collaborazione con Doxa, risale al 2017 . Il secondo è una ricerca compiuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per monitorare la qualità delle cure ricevute dalle partorienti in Europa nella prima fase della pandemia. In Italia un quarto del campione analizzato tra l’1 marzo 2020 e il 29 febbraio 2021 ha dichiarato di non essere stato trattato con dignità durante il parto, il 13% ha raccontato di aver subito abusi mentre il 39% non si è sentito coinvolto nelle scelte riguardo al parto. Una situazione che, secondo Francesca Romana Marta, responsabile del programma Fiocchi in Ospedale di Save the Children Italia, può essere ricondotto al funzionamento di un sistema più che alla responsabilità delle singole persone: “Se ci fosse una medicina territoriale più attenta, in grado di supportare le donne e un team multi professionale durante il momento del travaglio e del parto – spiega Marta – sicuramente questo porterebbe ad una riduzione della violenza”. Ma tra il personale ospedaliero c’è chi non trova corretto generalizzare. L’Associazione degli Ostetrici e Ginecologi Ospedalieri Italiani ha fortemente criticato l’uso di questo termine considerandolo uno strumento di offesa alla reputazione dei professionisti sanitari. Flavia (nome di fantasia), ostetrica con una decennale esperienza nel campo, pur non negando l’esistenza del fenomeno spiega che “molto spesso quello che avviene in sala operatoria è vissuto diversamente dalla paziente rispetto all’operatore perché cambia il punto di vista”. 

L’assenza di una legge italiana 

All’assenza di dati poi corrisponde anche un vuoto normativo. In Parlamento esiste una proposta di legge depositata l’11 marzo 2016 dal deputato Adriano Zaccagnini. La proposta mira a tutelare il rispetto dei diritti della donna e del bambino durante il parto; tuttavia non è mai stata approvata e si trova tuttora in fase di esame in commissione. Proprio per tutelare i neonati e le loro mamme, l’Associazione Mama chat ha lanciato nel 2023 su Change.org la petizione “Basta morti inutili e mamme sole!” nel tentativo di denunciare e prevenire tutti gli abusi. Questo perché, spiega Margherita Fioruzzi, co-fondatrice dell’Associazione, “serve portare all’attenzione di chi governa il fatto che la situazione è insostenibile”.

Un fenomeno trasversale

A livello europeo, la Risoluzione n. 2306 approvata nel 2019 dal Consiglio d’Europa, iscrive il fenomeno tra gli atti di violenza di genere, definendolo “nascosto e ancora troppo spesso ignorato”. Nel mondo invece il primo Paese ad aver riconosciuto in ambito giuridico il problema è stato il Venezuela nel 2007 con la “Ley Orgánica sobre el Derecho de las Mujeres a una Vida Libre de Violencia”, in cui la violenza ostetrica viene descritta come: “L’appropriazione del corpo e dei processi riproduttivi della donna da parte del personale sanitario, che si esprime in un trattamento disumano […] impattando negativamente sulla qualità della vita della donna”. 

Le conseguenze psicologiche

Un vero e proprio trauma, che espone le donne al rischio di conseguenze psicologiche come sottolinea Rosa Maria Quatraro, psicoterapeuta fondatrice e responsabile della clinica Maternità in difficoltà – Mamme in mente, Bimbi in mente. “Il corpo ha una memoria – dice -. Se c’è una violenza la mente registra sia le sensazioni fisiche che quelle emotive, innescando una serie di reazioni”. Subire un tale trauma in un momento così importante per il legame tra madre e figlio può aumentare le possibilità di sviluppare disturbi da stress post traumatico. Una realtà che Rosa ha vissuto sulla propria pelle: “Non sono stata bene per tanto tempo. Non ho potuto vivere il primo periodo di vita di mio figlio in modo sereno e questo mi ha segnata molto”, confessa.

Alla luce di questi dati non sorprende che in alcune donne vittime di violenza ostetrica si registri spesso un senso di rifiuto verso la maternità, tale da negarsi la possibilità di avere un altro figlio. Situazione paradossale, in un Paese come l’Italia, dove la natalità è sempre più bassa e tutelare le madri significa anche tutelare il nostro futuro.

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