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Quando il Mare Fuori non c’è: l’emergenza carceri minorili

di Sofia Landi25 Marzo 2025
25 Marzo 2025
carceri minorili

L'istituto Beccaria di Milano durante la rivolta del 24 marzo | Foto Ansa

Gli errori, l’amore, le risse, la voglia di guardare il cielo oltre i muri di una cella. Sono gli ingredienti che hanno reso Mare Fuori la serie dei record targata Rai. Ma quando i titoli di coda scorrono con la sigla, è il momento di distinguere il racconto televisivo dalla realtà. Oltre le sbarre della fiction esistono carceri minorili sovraffollate, dove l’approccio rieducativo viene travolto da quello repressivo, dalla carenza delle risorse, dalla fatiscenza delle strutture.

Carceri minorili, l’incubo del sovraffollamento

Dall’insediamento dell’attuale governo, le presenze negli istituti per ragazzi sono aumentate quasi del 50 per cento. A denunciarlo è il ventesimo rapporto sulle condizioni di detenzione dei minori di Antigone, l’associazione impegnata da più di 30 anni nella tutela dei diritti e delle garanzie nel sistema penale e penitenziario. Dati preoccupanti, simbolo di un sistema di detenzione al collasso. Dei 17 istituti presenti sul territorio nazionale, 12 ospitano più giovani di quanti dovrebbero. A versare in uno stato particolarmente drammatico, come ci spiega la coordinatrice nazionale di Antigone Susanna Marietti, sono gli Istituti penali minorili (Ipm) Cesare Beccaria di Milano e Casal del Marmo a Roma, dove i requisiti igienico-strutturali e detentivi appaiono precari. Ma cosa c’è all’origine di questa crisi?

L’allarme di Antigone: “Il governo fa populismo penale”

L’associazione punta il dito contro il Decreto Caivano. Entrato in vigore nel 2023, il provvedimento è stato introdotto per combattere l’emergenza della criminalità giovanile in aree del Paese particolarmente critiche, come quella dell’hinterland napoletano. Un allarme, quello invocato dal governo, che non trova però riscontro negli ultimi dati del Viminale. Il report “Criminalità minorile e gang giovanili”, riferito al periodo compreso tra il 2022 e 2023, mostra infatti una diminuzione del 4,15 per cento delle segnalazioni di minori. “In passato abbiamo avuto l’emergenza dell’immigrato, quella del tossicodipendente, adesso abbiamo quella della baby gang”, afferma scettica Marietti. “La politica costruisce un nemico e promette di  difendere i cittadini. E come lo fa? Mettendo quel nemico in carcere. È populismo penale”.

Gli effetti del Decreto Caivano

Oltre ad aver ampliato la possibilità di applicazione della custodia cautelare in carcere per i minorenni, il decreto ha allargato una serie di misure amministrative introdotte per gli adulti anche ai giovani. Preoccupa soprattutto la facilità con cui, al compimento dei 18 anni, i ragazzi vengono trasferiti nelle carceri dei grandi. A livello legislativo, chi commette un reato può rimanere nel sistema della giustizia minorile fino ai 25 anni. Con l’introduzione del decreto, invece, la pratica dei trasferimenti, prima molto rara, diventa prassi. Con il via libera del magistrato, infatti, i direttori degli istituti possono inviare i minori nelle carceri per adulti in caso di “condotta problematica”. I comportamenti di cui parla il decreto, però, non sono chiari, e l’unica condizione che può impedire il trasferimento è la mancata sicurezza del ragazzo nel carcere di arrivo. Di conseguenza – spiega Marietti – “appena il direttore dell’istituto ha un ragazzo problematico e ha bisogno di spazio, può tranquillamente mandarlo via”. Non di minor importanza l’introduzione di automatismi in merito alla “messa alla prova”, vale a dire l’uscita dal circuito penale. Con la stretta voluta dal governo, questa misura – che prevede la sospensione del processo e l’affidamento del giovane ai servizi della giustizia minorile – non è più attuabile per tutti i reati.

Verso una nuova “cultura della punizione”

La stretta del governo ha effetti anche sul piano culturale. Il decreto Caivano sta imponendo una “cultura della punizione”, prosegue Marietti. “Il modello di giustizia del codice di procedura penale minorile del 1988 metteva al centro il percorso educativo del ragazzo. Il decreto cambia questa filosofia”. In questo modo, si va nella direzione di un modello di giustizia minorile criminalizzante.

Il governo: “Da Antigone una lettura strumentale”

Opposta la lettura del governo. Per la sottosegretaria all’Interno Wanda Ferro, intervistata da Lumsanews, quella di Antigone è solo “una lettura strumentale”. Secondo Ferro il decreto Caivano è una risposta concreta alla criminalità giovanile. Allarme che non dipende solo dalla percentuale di reati, ma anche dalla maggiore violenza degli episodi che coinvolgono i minori e dal ruolo svolto dai social network. Non si può infatti ignorare che, oltre al loro utilizzo per attività criminali, “hanno cambiato la percezione della violenza come status symbol tra i giovani”.

Inoltre  “il governo Meloni sta affrontando in maniera ampia e articolata il tema della criminalità minorile, intervenendo non solo sul piano della sicurezza, ma soprattutto sotto l’aspetto culturale e dell’istruzione”. Nella convinzione che l’unica vera arma di prevenzione sia la crescita dei giovani in un ambiente di legalità e inclusione, si pongono su questa linea diverse azioni dell’esecutivo. Partendo dagli investimenti per contrastare l’emergenza educativa e la dispersione scolastica, fino alla rigenerazione urbana e l’affidamento di beni confiscati alla criminalità organizzata per progetti di utilità sociale. Non dimenticando infine, fa osservare la sottosegretaria, il ruolo delle forze di polizia sul piano della prevenzione e le numerose iniziative sportive, culturali e sociali.

La salute mentale dei minori in carcere

Ma l’impatto della legge sui giovani è critico anche sotto il profilo psicologico. Lo spiega Letizia Caso, docente di Psicologia sociale e giuridica all’Università Lumsa. La continuità educativa del minore viene interrotta e così non si ha più la possibilità di agire sulla sua formazione identitaria. “Non si può dare ai giovani una risposta repressiva o punitiva”. Complice la risonanza mediatica, oggi è il carcere minorile di Mare Fuori il più conosciuto d’Italia. Un modello criticato per la scarsa attinenza con la realtà. Se il rischio di emulazione in senso assoluto può essere escluso, come chiarisce Caso, il pericolo è che l’esperienza della detenzione venga distorta tanto da essere sottovalutata.

Di Martino, regista della serie: “Il mio Mare Fuori vuole mostrare la realtà”

Dietro alla macchina da presa di Mare Fuori è arrivato però lo sguardo di un nuovo regista.  Consapevole del disagio vissuto dai giovani detenuti, Ludovico Di Martino si è dedicato a una narrazione più umana e realistica della cella. “Nonostante Mare Fuori sia una fiction, ho voluto dare voce alla realtà dei giovani detenuti”. Senza perdere di vista la voglia di far riflettere il pubblico sull’importanza del percorso rieducativo dei minori, ha denunciato anche lui le conseguenze negative del Decreto Caivano. E per farlo ha scelto il personaggio di “Pino il pazzo”. “Lui è il simbolo di Mare Fuori. Delle seconde possibilità, dell’importanza del percorso rieducativo e della ‘messa alla prova’ per i ragazzi. Ma quel decreto cancella tutto questo”.

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