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Quando anche sindacalisti troppo “creativi” contribuiscono a uccidere l’Opera

di Corinna Spirito22 Settembre 2014
22 Settembre 2014

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Se c’è una nota positiva nella fuga di Riccardo Muti dalla direzione musicale del Teatro dell’Opera di Roma è l’attenzione mediatica che stanno avendo i motivi “sindacali” che l’hanno convinto a lasciare il mondo della lirica italiana. Non ci sono solo situazioni gravi e tagli agli stipendi dietro gli scioperi che hanno coinvolto negli ultimi anni i grandi teatri del nostro Paese: in molti casi, infatti, i motivi dietro l’annullamento delle rappresentazioni non erano che frivolezze. Alla Scala di Milano saltò “Romeo et Juliette” di Sasha Waktz perché il sovrintendente non accettò le richieste di aumento di stipendio dei coristi per muovere la testa a ritmo di musica e dei ballerini che avrebbero dovuto esibirsi su un palco leggermente inclinato dallo scenografo.

Quando invece si cede alle richieste dei sindacati ai nostri teatri tocca pagare indennità su indennità come quella “sulla lingua” quando i coristi devono esibirsi in un’opera che non è in italiano; o quella per portare un’arma o uno scudo mentre si canta come nell’“Aida” o nel “Nabucco”. O peggio, ci si rifà sul pubblico. Pesa sul prezzo del biglietto l’ “indennità Caracalla” che l’Opera di Roma è costretta a pagare agli impiegati che nella sede della stagione estiva neppure sono mai stati presenti (le Terme di Caracalla appunto); come pesano sulla fruizione dello spettacolo i numeri intervalli, obbligatori per contratto, per atti che superino una certa durata (come “Les Troyens” di Berlionzn che approdato da Londra alla Scala di Milano divenne un’opera interminabile). E ancora, al San Carlo di Napoli gli spettatori hanno atteso più di un’ora l’inizio del Barbiere di Siviglia, per poi sentirsi dire che la rappresentazione era stata cancellata a causa dell’agitazione dei lavoratori. Non stupisce allora che il pubblico dia dei “buffoni” a musicisti e coristi, finendo per allontanare (ancora di più) la gente dai teatri e dall’Opera italiana. “O si cambia o si muore”: scrive oggi Alberto Mattioli su La Stampa in merito alle condizioni in cui versano i nostri teatri ed è la verità. Una volta la lirica nostrana era la migliore del mondo, oggi è diventata zimbello internazionale. Oggi la burocrazia e i capricci allontano dall’Opera capitolina uno dei più grandi maestri d’orchestra viventi e uccidono quest’arte secolare.

Corinna Spirito

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