“Oggi abbiamo approvato un provvedimento che ci fa passare dall’età tolemaica all’età copernicana”. Gaetano Quagliariello, ordinario di Storia Contemporanea alla Luiss di Roma, dal 2013 al 2014 è stato ministro per le Riforme Costituzionali nel governo Letta. Gli abbiamo chiesto se, dopo dodici anni dal via libera alla norma con cui venivano cancellati i rimborsi elettorali, ripeterebbe quel commento.
“Sì, per me quello è il primo provvedimento che attua in maniera indiretta l’articolo 49 della Costituzione, che lega il finanziamento pubblico a delle prestazioni”.
Professore, pensa che la legge 49/2013 abbia cambiato in meglio il sistema di finanziamento dei partiti in Italia?
“Secondo me, dal 2013 il sistema è diventato un po’ più trasparente. Prima di quella legge, una parte del finanziamento si nascondeva sotto la voce ‘rimborsi elettorali’. A partire da quella norma, inoltre, il finanziamento pubblico dipende da un’opzione dei cittadini, il 2 per mille. La ratio era questa: se il singolo partito è un canale di partecipazione per i cittadini, lo Stato finanzia il partito attraverso il contributo volontario dei cittadini”.
Quali erano i limiti di quel provvedimento?
“Secondo me, si sarebbe dovuto fare qualcosa in più per regolamentare il finanziamento indiretto della politica, cioè dare ai partiti degli strumenti piuttosto che dare loro dei soldi”.
Si spieghi meglio.
“Penso sarebbe stato meglio pensare a degli strumenti da utilizzare nella dimensione della partecipazione per tenersi in contatto con gli elettori, come linee telefoniche dedicate con tariffe agevolate. Anche se queste cose andrebbero studiate bene”.
Altre criticità?
“A mio avviso, bisognava fissare un quantum del finanziamento e poi suddividerlo percentualmente rispetto a quelle che erano le opzioni elettorali dei cittadini”.
Quindi sostanzialmente lei non sarebbe stato così in disaccordo con quello che il governo ha tentato di fare attraverso l’innalzamento dei fondi stanziati per il 2 per mille.
“Secondo me, quella soluzione ha un certo tasso di ipocrisia, perché tutti sanno che queste opzioni vengono fatte soprattutto in serie. E diciamo che non dipendono sempre ‘da libere scelte’. Lo Stato deve decidere, una volta per tutte, qual è la cifra che vuole stanziare per i partiti. Poi dentro questo si fa una competizione tra le forze politiche”.
Ma lei sa che chi dovrebbe vigilare sui partiti, una Commissione di garanzia formata da cinque magistrati della Corte dei Conti e del Consiglio di Stato, non può svolgere indagini ma solo controlli formali a campione?
“Lo so. Ma le dirò di più. Questa Commissione oggi non ha una struttura e per questo non è in grado di effettuare dei veri controlli. Si potrebbe dimostrare, per esempio, che ha dato, su statuti identici, pareri differenti. E questo, dal punto di vista delle garanzie democratiche, è terribile”.