Giuseppe Dentice è il responsabile del desk Medio Oriente e Nord Africa del Ce.SI – Centro Studi Internazionali. A Lumsanews ha spiegato come il Qatar stia tentando di riformare in parte il mercato del lavoro per dare un’immagine più benevola del Paese, anche in virtù dei prossimi Mondiali.
La popolazione del Qatar è formata in larga parte da lavoratori arrivati nel Paese dal sud est asiatico. Si tratta di un dato figlio solo della richiesta di manodopera in vista dei Mondiali?
“Non è un fatto sporadico, ma un trend di lungo periodo. Solo nell’ultimo decennio la popolazione del Qatar è passata da poco più di un milione a circa 3. C’è stato un fortissimo flusso di immigrazione tendenzialmente qualificata e straniera. Di questi 3 milioni, solo il 15% è composto da popolazione qatarina. C’è quindi un 85% abbondante di persone straniere. Il Qatar è un Paese che ha bisogno di manodopera per sostenere la propria economia e le necessità di una minoranza della popolazione. Il fenomeno migratorio va avanti da decenni, ma negli ultimi anni ha avuto un forte impulso soprattutto con l’assegnazione del Mondiale”.
Cosa accadrà ai lavoratori sia durante la Coppa del Mondo che quando questa sarà terminata?
“È difficile immaginare cosa possa accadere alla popolazione. Però è evidente che ci troviamo dinanzi a un fenomeno che non pone la dignità umana al centro dell’agenda politica. Allo stesso tempo, questo tipo di immigrazione non si fermerà nel breve periodo, ma presumibilmente continuerà a rimanere finché non ci sarà una riforma più ampia che intacchi in profondità il mercato del lavoro. Ad oggi si nota un tentativo di dargli una forma più precisa, evitando di far uso ampio dello sfruttamento della forza lavoro non qualificata o comunque non nazionale”.
Crede che le riforme sui diritti dei lavoratori, che hanno formalmente abolito il sistema della kafala, sarebbero state possibili senza l’assegnazione dei Mondiali? Al momento sono attuate realmente dai datori di lavoro o sono soltanto riforme di facciata?
“È difficile poter dire con certezza se ci sia una volontà politica o se in realtà sia solo una situazione di comodo. C’è un tentativo di mettere il cappello sul mercato del lavoro e di dare un’immagine più benevola del Paese anche in virtù dei prossimi Mondiali, che sono una vetrina importantissima. Quindi è innegabile che questo sia anche uno strumento politico, ma è difficile asserire che possa effettivamente portare dei benefici concreti. Per avere delle certezze sarebbe necessario che anche i Paesi di origine dei lavoratori portassero avanti un’ampia riforma dello Stato, con annesso anche il mercato del lavoro, e che rivedessero il concetto di contratto sociale che è stato finora vigente in Qatar, ma in generale nel Golfo e in Medio Oriente”.
Recentemente l’Organizzazione Internazionale del Lavoro ha pubblicato un report su infortuni e decessi sul lavoro in Qatar. Il Paese sta facendo passi avanti reali dal punto di vista della trasparenza? Le autorità qatarine non temono che i dati sulle condizioni dei lavoratori rovinino l’immagine di un Paese che ha investito moltissimo per farsi conoscere dal mondo?
“Il Qatar sta cercando di invertire il trend e cambiare la reputazione internazionale che si è costruito. La riforma del mercato del lavoro, con la scelta di dare più lavoro ai National anziché sfruttare gli immigrati, è stata promossa anche in quest’ottica. Allo stesso tempo c’è un tentativo di smontare in maniera più formale la stessa kafala. Il punto è capire se ciò poi porterà effettivamente a degli stravolgimenti. Quel che è certo è che c’è un tentativo, magari opportunistico, di trasformare il mercato del lavoro e di dare un certo peso anche alle questioni relative ai diritti civili e umani”.