Mentre i raid aerei americani anti-Isis continuano – oggi giunti fin sulla città di Kunduz, nel nord dell’Afghanistan – Vladimir Putin torna dall’esilio. Nel pomeriggio di ieri all’Assemblea generale dell’Onu a New York, per un attimo, i tempi della cacciata della Russia dal G8 e dell’isolamento subito nel corso del G20 in Australia di appena un anno fa, sono sembrati lontani quanto la “guerra fredda”. Al termine degli interventi di fronte all’assemblea, il presidente russo si è intrattenuto per oltre un’ora e mezza in una conversazione privata con Barack Obama, durante la quale è stata affrontata la situazione siriana.
Prove di dialogo, dunque, come dimostrato nella conferenza stampa che ha seguito l’incontro. «Il colloquio con Obama è stato sorprendentemente franco, costruttivo – ha riferito Putin -. Possiamo lavorare insieme». Sugli interventi aerei in Siria, però, Putin vorrebbe una soluzione che coinvolga il consiglio di sicurezza internazionale: i raid «sono illegali perché non c’è l’autorizzazione dell’Onu. Obama e Hollande non sono cittadini siriani. Non possono decidere sul futuro del Paese». Per combattere lo Stato islamico, ha proseguito Putin, «occorre una coalizione internazionale come quella che si creò contro Hitler durante la Seconda guerra mondiale».
I due leader rimangono comunque distanti sulla questione Bashar al-Assad. Per Obama, l’ex presidente siriano non può essere la soluzione anti-Isis che vorrebbe Mosca, con un suo possibile reinserimento al potere una volta risolto il conflitto. Il presidente americano, al pragmatismo di Putin dimostrato con i “boots on the ground” dei militari russi in Siria, contrappone però un repertorio di invettive «in difesa della democrazia» e della «sicurezza americana e dei suoi alleati», con la criminalizzazione del «regime dittatoriale di Assad».
«Se i russi usano la loro forza militare solamente per combattere l’Isis, allora va bene», sostiene una fonte della Casa Bianca citata dall’Ansa. «Ma se lo fanno per rafforzare la lotta di Assad contro il suo stesso popolo, questo sarà negativo». Ora però Obama, come scrive Mattia Ferraresi sul Foglio, «finisce nel lato debole dei negoziati». Sia per aver riportato al tavolo delle trattative Putin dopo averlo allontanato, legittimandone il ruolo di primo piano negli assetti internazionali, sia per essersi finora limitato all’uso di droni, senza aver modificato le sorti della guerra. Posizione scomoda per Obama, il Nobel per la pace che in tutti i modi vorrebbe essere ricordato come il presidente che non entrò mai in guerra.