Odia gli italiani, e prova compassione per il nostro Paese fallito. La voce è dell’unico imputato del cosiddetto processo “Eternit Bis”, Stephan Schmidheiny, che oggi il tribunale di Vercelli deciderà se accusare e rinviare a giudizio per l’omicidio di 392 uomini morti a causa dell’amianto. Schmidheiny, ultimo responsabile in vita degli stabilimenti di Casale Monferrato, già incriminato nel processo “Eternit Uno”, era stato condannato in primo e secondo grado a 18 anni di reclusione, ma il reato era caduto poi in prescrizione.
“Dentro di me provo odio per gli italiani e io sono solo a soffrire per questo. Non ho intenzione di vedere una prigione italiana dall’interno. E quando oggi penso all’Italia provo solo compassione per tutte le persone buone e oneste che sono costrette a vivere in questo Stato fallito”, ha dichiarato il 28 dicembre scorso alla testata svizzera Nzz al Sonntag, pensando all’eventuale decisione del gup Fabrizio Filice di Vercelli.
“Sessantadue morti sono ex lavoratori dello stabilimento, ma trecento sono cittadini semplicemente residenti”, ha detto il pm Gianfranco Colace, che affianca Fabrizio Alvino nel tribunale del capoluogo di provincia toscano. Proprio quest’ultimo alcuni giorni fa aveva chiesto una lapide – oltre a quelle per i caduti della Prima e Seconda guerra mondiale – per “i morti di amianto”.
“Ritengo che alla fine il mio comportamento sarà giudicato correttamente e un giorno verrò assolto”, ha continuato Stephan Schmidheiny, spalleggiato dai suoi difensori Astolfo Di Amato e Guido Carlo Alleva, che hanno dichiarato che sia “un’inammissibile tortura di Stato ripetere un processo nei confronti di una persona per gli stessi fatti”, facendo riferimento all’Eternit Uno. Frase che non ha digerito Assunta Prato, una delle molte casalesi vedove dell’amianto: “La tortura è quella di migliaia di persone che vivono nella paura e nel dolore per il lutto”.