La ricerca sulle cellule staminali compie un passo in avanti. In Gran Bretagna, un gruppo di studiosi dell’Università di Cambridge ha annunciato infatti di avere realizzato in laboratorio il primo embrione artificiale. La scoperta, illustrata dalla rivista “Science”, ha svelato come sia stato formato a partire da cellule staminali assemblate, che hanno poi originato una struttura tridimensionale simile a quella presente in natura. Secondo gli esperti, questo traguardo aiuterà a capire più a fondo le cause di numerose malattie e a ridurre i test condotti sugli animali.
Magdalena Zernicka-Goetz, del dipartimento di fisiologia, sviluppo e neuroscienze di Cambridge, ha guidato l’equipe di ricercatori, spiegando come sia le cellule staminali embrionali, che danno origine agli organi, sia quelle che formano le strutture esterne all’embrione, come la placenta, si “siano organizzate in una struttura che si comporta come un embrione”. La studiosa ha poi aggiunto: “L’embrione ha regioni anatomicamente corrette, che si sviluppano al posto giusto nel momento giusto”. L’esperimento ha riprodotto tutte le fasi dello sviluppo di un embrione normale, avvicinandosi a questo ultimo e dimostrando di essere completo sotto ogni punto di vista. Il risultato raggiunto è un passo avanti per gli studi sulla fecondazione, ma anche per la vita creata in laboratorio, quella artificiale.
Sui possibili scenari, ai microfoni di Repubblica, è intervenuto Paolo Vezzoni, ricercatore dell’Istituto di Ricerca Genetica e Biomedica del Cnr di Milano e direttore del Biomedical Technologies Lab di Humanitas. “Quello che hanno fatto non ha precedenti – ha ammesso l’esperto – Normalmente otteniamo staminali embrionali da un embrione, loro sono riusciti a fare il contrario, ottenendo un embrione a partire dalle cellule staminali. Si tratta di risultati importanti, soprattutto se si riuscirà a replicarli anche con cellule umane. Risolverebbe infatti molti dei dilemmi etici che riguardano le ricerche sullo sviluppo embrionale, perché permetterebbe di studiarlo utilizzando non embrioni, ma staminali coltivate in provetta”.
Una scoperta rilevante, dunque, che permetterebbe di cercare trattamenti indirizzati a una fase specifica: è negli stadi iniziali dello sviluppo embrionale infatti che falliscono due terzi delle gravidanze.