La vendita ai cinesi di Pompi, storico locale del tiramisù di Roma ubicato in via Albalonga a San Giovanni, sembra essere stata nient’altro che una boutade. La cessione, annunciata tramite un provocatorio cartello affisso sul bancone del bar, non si farà. Il vero obiettivo dei gestori del bar era quello di protestare contro l’amministrazione capitolina che multa le auto dei clienti in doppia fila, rovinando il business dell’attività. Cinzia Pompi, una dei proprietari del locale, si è sfogata con Il Tempo, rivelando: «Quel cartello era solo una provocazione, indirizzata a cittadini e residenti di via Albalonga che additano il locale come la causa di tutti mali alla viabilità della zona». E ancora: «Ma quale razzismo? Siamo qui dagli anni Sessanta, vorremmo solo essere considerati dall’amministrazione con il rispetto che meritiamo. Quando ci accusavano di andare contro i vigili perché multavano i clienti in doppia fila, siamo stati i primi a dire che le regole valgono per tutti e se qualcuno sbaglia è giusto che paghi, ma nel frattempo abbiamo anche avanzato delle proposte al Municipio che sono rimaste inascoltate».
A questo punto, l’ipotesi più probabile è quella di un trasferimento: «È un’idea come tante altre che abbiamo, ma adesso non è ancora il caso di scendere nei particolari. Certo, se ci dicono che siamo soltanto capaci di creare problemi a questa zona, ci sentiamo offesi come persone soprattutto, e poi come commercianti di un’attività storica».
Il caso era scoppiato quattro giorni fa. L’annuncio della chiusura di Pompi era stato dato tramite un cartello affisso sul bancone del bar che recitava così: «Recessione è quando il tuo vicino perde il lavoro. Depressione è quando lo perde un tuo familiare. Panico quando lo perdono tutti i tuoi dipendenti…60! Grazie a questo lungimirante Municipio, alle vie limitrofe e ai residenti, i cittadini non avranno più il loro punto di ritrovo a cui erano abituati da 54 anni! Avranno tranquillità e più tempo, per imparare il cinese…vista la prossima apertura, dopo la nostra storica attività romana, di un bazar o ristorante cinese». Immediatamente era scattata un’ondata di polemiche. La comunità cinese si è ribellata, accusando quel cartello di razzismo. Alessio W. Chen, un italo-cinese che vive da tempo a Roma, ha inviato al Messaggero una lettera nella quale accusa: «Sono rimasto scioccato da quelle parole piene di insofferenza razziale nei confronti di una comunità la cui unica colpa è quella di aver avuto successo nell’imprenditoria in Italia e che tramite il duro lavoro in questi anni ha raggiunto uno standard di vita migliore. Sono amareggiato ed offeso, come cliente e come cittadino ma soprattutto in quanto italo-cinese. Nessuno deve poter offendere gratuitamente un altro gruppo etnico esponendo cartelli di questo tipo».
Valerio Dardanelli