“Sia Trump che Musk sono rivolti al passato, proprio come Putin e il patriarca Kirill”. Maurizio Ferraris, filosofo e professore ordinario di Filosofia teoretica all’Università di Torino, descrive il legame inscindibile tra mito e politica, con attenzione alla narrazione regressiva di Donald Trump ed Elon Musk.
Perché il mito si riaffaccia in politica nel 2025? Cos’è che ha spinto Donald Trump a scegliere proprio il mito dell’Età dell’oro?
“Il mito dell’Età dell’oro lenisce i dolori del momento, presentati come l’effetto della decadenza, della cattiva amministrazione. E, insieme, guarisce dall’angoscia del futuro, perché suggerisce un ritorno al passato. In questo il mito funziona benissimo. Delle persone spaventate, che si sentono tagliate fuori dal corso maggiore della Storia, è naturale che siano rassicurate quando gli si dice che si tratta di una condizione temporanea, dovuta al malgoverno dei progressisti woke e corrotti. Sono ancora più rassicurate se si dice loro che non devono aver paura del futuro, visto che non si tratterà di andare avanti, ma di tornare indietro, nell’età incantata dell’infanzia, o dei film western. Invece che trattare queste persone come dei mitomani bisogna capire che cosa li preoccupa e soprattutto fornire una mitologia alternativa”.
Dopo stagioni politiche che hanno fatto della razionalità logica il proprio caposaldo, sembra che il mito stia tornando prepotentemente nel discorso politico in veste di narrazione irrazionale, basata sulla riemersione dei presunti fasti del passato. È davvero così? Il mito rappresenta un capovolgimento della logica umana?
“Sinceramente non vedo tutto quel raziocinio nel passato. La Prima Guerra Mondiale è stata alimentata dal mito del nazionalismo, la Seconda da quello della razza e venendo al dopoguerra italiano, da una parte abbiamo la Democrazia Cristiana, che si basa sul mito di un uomo morto e risorto, e dall’altra il Partito Comunista, che parlava di una classe operaia che sarebbe andata in paradiso. Rispetto a questi miti, invocare il ritorno all’età dell’oro sembra quasi modesto. Venendo a un passato prossimo, mi sembra che la politica effettiva si basi sul calcolo e sul mito. Va bene, purché questo porti a qualche risultato positivo per i governanti”.
Nel proprio discorso sulla golden age americana, Trump sembra voler realizzare finalisticamente il futuro degli Stati Uniti, guardando ai miti americani del passato. Il suo braccio destro Elon Musk, invece, incarna la visione del lungotermismo. Cosa può dirci di questa contrapposizione tra due visioni del tempo culturalmente distanti?
“Di sicuro l’età dell’oro di Trump è un sogno regressivo, ma è tutt’altro che certo che il lungotermismo di Musk sia un sogno progressivo, basti dire che non prevede una crescita del rispetto umano, che si tratti di sua figlia o dei dipendenti statali americani. Sia Trump sia Musk sono rivolti al passato, proprio come Putin e come il patriarca Kirill. Non dimentichiamoci che, sebbene si serva dell’Intelligenza artificiale, Musk la descrive come pericolosa, come incline a prendere il potere. Il problema non è il fatto che loro dicano quello che dicono; ho anzi il sospetto che analizzarne i discorsi non sia più produttivo che dedicarsi all’ermeneutica del Mein Kampf. Il problema è che le forze progressiste si concentrano esclusivamente sui sacrosanti diritti individuali, ma non sono capaci di dare una visione di futuro condiviso”.
