Silvia Romano è tornata in Italia e, subito, le polemiche nel Paese si sono spostate dalle riaperture delle attività produttive alla notizia della sua conversione all’Islam. “Una scelta libera”, ha dichiarato la cooperante milanese al pubblico ministero Sergio Colaiocco. Stessa risposta che diedero Simona Torretta e Simona Pari, rapite in Iraq nel 2004 e poi rilasciate, oppure Daniele Mastrogiacomo, che fu sequestrato in Afghanistan nel 2009. Silvia ha affermato di essersi avvicinata alla nuova religione leggendo il Corano, unico libro fornitole dai suoi sequestratori. Da una delle stanze in cui era rinchiusa, le capitava di sentire il muezzin chiamare i fedeli per la preghiera. Da lì la scelta di convertirsi: il rito della Shahada “durato pochi minuti”, la ripetizione di alcune formule, poi il cambio di nome: “Adesso mi chiamo Aisha”, come la preferita delle mogli di Maometto.
“Una donna fondamentale per la tradizione islamica, simbolo di coraggio e autonomia. Silvia sapeva che si sarebbe esposta a molte critiche, è stata coraggiosa”, ha dichiarato a Radio Capital Davide Piccardo, esponente della comunità islamica di Milano.
Scesa dall’aereo che da Mogadiscio l’ha portata a Roma, Silvia si è mostrata con indosso uno “jilbab”, abito lungo e largo indossato dalle donne musulmane per rispettare il precetto coranico della modestia femminile. “Anche la sua scelta di presentarsi con quegli abiti dimostra quanto è consapevole la sua conversione” ha proseguito Piccardo. “Forse qualcuno le avrà anche detto di non vestirsi così, ma lei ha deciso comunque di indossarli”.
In un tweet, il direttore de Il Giornale Alessandro Sallusti ha dichiarato: “È stato come vedere tornare un prigioniero dei campi di concentramento orgogliosamente vestito da nazista”.
Contro di lui è arrivato il comunicato dell’Unione delle Comunità Islamiche d’Italia (Ucoii): “Non possiamo ignorare i vili attacchi da parte di alcuni giornalisti e opinionisti che, facendo parallelismi inaccettabili, vogliono minare ogni tipo di diritto e di libera scelta che un individuo può compiere nel rispetto di tutti”.
“I pesanti e vigliacchi attacchi a Silvia ci dimostrano come un certo tipo di razzismo islamofobo si senta sempre più legittimato a riversare il proprio odio”, prosegue l’Ucoii, che ha anche chiesto “a tutti i rappresentanti delle istituzioni, ai politici, ai giornalisti e a tutte le donne e agli uomini giusti e democratici di vigilare e respingere con fermezza ogni tipo di dichiarazione islamofoba”.