La risalita dello spread, il differenziale di rendimento tra Btp a dieci anni e Bund tedeschi, che tocca con i 169 punti di oggi il massimo da settembre 2015, certifica uno stato ancora non del tutto stabile ed in piena ripresa della nostra economia. Agli altalenanti dati macroeconomici nazionali, vanno aggiunti anche quelli locali che, nel caso del sud, lasciano spazio a preoccupazioni e a molti interrogativi.
Dopo sette anni consecutivi di contrazione il Pil del sud Italia è tornato a crescere nel 2015, facendo registrare un +1%. Un dato, quello evidenziato dalla Svimez (Associazione per lo sviluppo dell’industria del mezzogiorno) che non deve però indurre a facili entusiasmi, considerate le precedenti rilevazioni che fotografavano un sud in grave difficoltà.
In un rapporto del Luglio 2015 infatti l’associazione sottolineava come durante la crisi economica (2008-2014) i consumi delle famiglie del sud fossero scesi del 13% e gli investimenti dell’industria crollati del 59%. Ma non solo, nel 2014 il 62% dei meridionali ha guadagnato meno di 12 mila euro annui e una persona su tre era indicata come a rischio povertà. A tutto questo va aggiunto che 653.000 persone hanno lasciato il mezzogiorno tra il 2002 e il 2014 e, tra questi, 478.000 sono giovani.
Un quadro impietoso di quella “questione meridionale” che perdura da 142 anni. Era infatti il 1873 quando il deputato radicale Antonio Billia diede questa definizione degli squilibri economici tra nord e sud. Il +1% del 2015 colma in parte la caduta dell’anno precedente, quando il Pil del meridione fece registrare un arretramento dell’1,2%. Dal 2007 invece il crollo è stato del 12,7%, nettamente di più rispetto alla flessione rilevata al centro-nord (-7,1%).
Altro dato che fa riflettere è quello portato all’attenzione da Roberto Barbieri, direttore generale di Oxfam Italia: nel nostro Paese l’1% delle persone più ricche è in possesso del 23,4% della ricchezza nazionale netta. A livello internazionale poi 62 uomini possiedono la stessa ricchezza della metà più povera del mondo, vale a dire 3,6 miliardi di persone. Diseguaglianze dunque tanto globali quanto nazionali.