Negli ultimi mesi si è più volte parlato della possibilità che l’OPEC, l’associazione internazionale dei Paesi produttori di petrolio, possa concertare la riduzione dellla produzione del greggio allo scopo di far rialzare il prezzo e aumentare così gli ingressi per tutti i produttori.
Sin da settembre si dice che nella riunione dell’OPEC del 30 Novembre si concluderà l’accordo in tal senso. Ma le recenti novità sembrano in realtà metterlo in crisi. Infatti, l’Iraq ha annunciato che vuole essere da esso esentato perché ha bisogno di proventi per combattere l’ISIS. Una posizione che ha messo i mercati in subbuglio provocando l’abbassamento del prezzo del petrolio fino a 50$.
La posizione dell’Iraq appare in realtà contradditoria, in quanto non si vede perché il mercato debba preferire di acquistare il petrolio iracheno se può trovarlo a più basso prezzo altrove dovesse l’accordo essere raggiunto. Magari, vista la continuità della produzione irachena, non si potrà alzare di troppo il prezzo, ma i meccanismi del mercato dovrebbero comunque ritorcersi contro l’Iraq.
L’accordo è molto delicato perché i movimenti del petrolio danneggiano una parte e beneficiano un’altra. Il petrolio a prezzo più alto sicuramente danneggerebbe i consumatori di benzina e di petrolio a livello industriale, ma beneficerebbe le casse delle imprese statali e non che lo estraggono.
E’ per questi motivi che il Venezuela spinge molto sull’accordo. Ormai ad una crisi economica drammatica e che si trascina da tempo, lo stato venezuelano ha disperato bisogno di denaro per intervenire politicamente in merito. Il Presidente del Paese, Nicolas Maduro, è in questi giorni in Medio Oriente proprio allo scopo di giungere ad un’intesa con altri Paesi produttori, che ovviamente vuole si raggiunga su un prezzo più alto possibile.