Spesso sottovalutata, a volte bistrattata; l’informazione locale rimane però indispensabile per rendere visibili storie che, altrimenti, resterebbero ignorate. Scarsa visibilità al di fuori dei confini regionali e una platea di lettori piuttosto limitata; altro non può essere che passione allo stato puro.
Per capire come realmente si vive il giornalismo lontano dalle grandi città abbiamo perciò chiesto un parere ai diretti interessati.
E quale miglior luogo se non l’Umbria, una delle regioni più vitali da questo punto di vista. Una sorta di laboratorio giornalistico.
«L’informazione di provincia è quella più viva e, per certi versi, più difficile: c’è maggior controllo sulla veridicità da parte della gente; senza considerare l’effetto dirompente che una notizia ha su una piccola comunità». Ne è convinta Vanna Ugolini, una vita dedicata alla cronaca nera e giudiziaria nella redazione locale del Messaggero.
«Nei piccoli centri c’è ancora la possibilità di avere un contatto diretto con il territorio – proseguela Ugolini– mentre a livello nazionale molto lavoro è svolto dalle agenzie, in provincia è necessario muoversi sul territorio per avere notizie; potremmo dire che qui il giornalismo si fa ancora consumando le suole delle scarpe».
Ma differente è anche l’impostazione del lavoro; ce lo conferma Luigi Palazzoni, anche lui con un lungo trascorso nella redazione regionale del Messaggero ed ora direttore editoriale del Giornale dell’Umbria, quotidiano orgogliosamente autoctono e dedicato quasi interamente alla cronaca locale.
«Nel piccolo giornale ognuno si occupa di tutto – afferma Palazzoni – e questo dà maggiore soddisfazione; ci si sente pienamente coinvolti in quello che accade vicino a noi».
Senza dimenticare il ruolo strategico che il cronista locale riveste per gli inviati delle grandi testate: «A differenza di quanto si possa pensare i rapporti sono ottimi – sottolinea in maniera decisa Palazzoni – c’è una forte collaborazione, anche perché la nostra conoscenza della zona ci rende indispensabili; non so se questo avviene per convenienza, ma il rispetto nei nostri confronti è massimo».
Non mancano naturalmente le difficoltà, dovute principalmente alla conoscenza diretta con le persone: «Mantenersi autonomi senza farsi condizionare da fonti a volte molto vicine è la cosa più difficile da gestire». È il parere della Ugolini (e condiviso un po’ da tutti); un prezzo da pagare tutto sommato ragionevole rispetto a quello che, a suo avviso, rimane un pregio tipico del giornalismo di provincia: «la possibilità di fare un lavoro continuativo su una comunità e vederne gli effetti e i risultati».
Come dire: non sempre la grande dimensione è sinonimo di qualità. Guai, quindi, a considerarli giornalisti “di serie B”.
Marcello Gelardini