Alberto Gambino, giurista e presidente dell’associazione “Scienza&Vita”, ha spiegato a LumsaNews i motivi per cui la Corte Costituzionale ha bocciato il quesito referendario sull’eutanasia.
Perché la Consulta non ha ammesso il quesito referendario sul fine vita?
“La motivazione più importante è che il quesito era troppo esteso e andava a ricomprendere tutta una serie di situazioni di debolezza e di fragilità come gli stati depressivi, lo sconforto e la vulnerabilità. L’articolo 579 del codice penale è fatto di due parti. In una prima parte si dice che chi uccide una persona su sua richiesta è sottoposto a una pena detentiva. Nella seconda parte che questa pena è particolarmente aggravata quando si è davanti a situazioni d’infermità mentale o in caso di soggetti non in grado di esprimere una propria volontà. Il referendum chiede che sia abrogata solo la prima parte. L’associazione Coscioni continua a sostenere che i casi di fragilità rimangono coperti dalla seconda parte della norma ma questi non sono casi d’infermità di mente e la Corte Costituzionale è stata chiarissima. Ha detto: guardate, noi non possiamo espungere dal nostro ordinamento questa norma perché altrimenti non garantiremmo quella tutela minima alla vita in quei casi di debolezza e fragilità.”
Quindi anche una persona depressa?
“Esatto. Scusi ma le sembra normale che una persona che in un momento di fragilità viene uccisa su sua richiesta e chi la uccide non va incontro a nessuna pena? La depressione non è infermità di mente, quindi abrogando la prima parte si andava dai casi di malattie insopportabili e irreversibili a situazioni contingenti di sconforto, debolezza, una delusione d’amore, con volontà perfettamente lucida e consapevole, non è un infermo di mente chi affronta questi dolori.
Quindi tutta l’enfasi che hanno messo intorno alla delusione della mancata approvazione è strumentale. La corte ci avrà messo 3 minuti a decidere che è inammissibile. Tutto questo dibattito è strumentale perché si vuole arrivare rapidamente a una legge sull’eutanasia ma se si analizza il quesito e si vedono quali sarebbero state le conseguenze laddove fosse stata espunta quella norma, francamente non era neanche da portare all’attenzione della Corte.”
Cosa pensa della legge in Parlamento?
“I promotori di quella legge dicono che vogliono trasporre i principi della sentenza della Corte Costituzionale del 2019, ma in realtà vanno molto oltre. Le faccio un esempio: mentre la sentenza della Corte Costituzionale del 2019 delimita le funzioni del servizio sanitario nazionale solo all’accertamento dei requisiti per cui si potrebbe arrivare a un suicidio assistito, il disegno di legge Bazzoli estende il ruolo del servizio sanitario anche alla fase dell’esecuzione della pratica del suicidio assistito, devastando le nostre strutture ospedaliere e la percezione sociale di queste strutture inserendo delle vere e proprie camere della morte. Il che va a snaturare il ruolo del servizio sanitario nazionale.”
Secondo lei, ora c’è un ampio consenso sul suicidio assistito?
“Il consenso di chi ha firmato quel referendum non è misurabile. l’Associazione Coscioni non riusciva a raggiungere i 500mila firmatari necessari e ha ottenuto che le firme fossero online. Questo passaggio è molto importante perché fino ad allora, i referendum si raccoglievano nei banchetti nelle piazze. C’è, quindi, un cittadino che si avvicina al banchetto, legge il quesito, si informa, parla, si confronta e poi decide. Le informazioni che sono state date online sul referendum, non erano chiare, non spiegavano il quesito. Si chiedeva solo di votare il referendum sull’eutanasia, ma questo non è un referendum per l’eutanasia, questo è un referendum per abrogare l’omicidio del consenziente. L’eutanasia è quando si è in una situazione di fine vita e ci si appresta ad una morte medicalmente assistita. L’omicidio del consenziente riguarda anche persone che stanno benissimo, sono sane e chiedono di essere uccise. Il referendum non è stato presentato così. La percezione della nostra associazione è che nelle corsie d’ospedale non ci sia una richiesta di essere uccisi ma una richiesta di maggiori cure, di maggiori terapie.”
Cosa pensa della vicenda di “Mario”?
“La sentenza della Corte Costituzionale ha detto che, per procedere con un suicidio assistito, devono verificarsi certe condizioni: malattia irreversibile e insopportabile, un consenso libero, una situazione di presidio sanitario in atto. Il tribunale ha chiesto all’Asl di verificare questi requisiti. Quando il comitato ha inviato la relazione al giudice, ci si è accorti che sul farmaco non c’era scritto nulla. Quindi, il comitato si è pronunciato anche indicando il farmaco che può essere efficace per morire. La questione è molto delicata, il fatto che un comitato all’interno di una Asl si pronunci, per la prima volta, su un farmaco non per guarire ma per morire, è un passaggio culturale importante. Io l’ho chiamato un punto di non ritorno. Inoltre, non si è detto nulla su dove si debba eseguire l’autosomministrazione del farmaco letale. Quindi, potrebbe avvenire anche in un luogo privato, con l’assistenza di un medico che non potrà essere sottoposto ad un procedimento penale proprio in forza di quella decisione della Corte Costituzionale.”