La questione pensioni continua a togliere il sonno agli addetti ai lavori del ministero dell’Economia, impegnati a far quadrare i conti. La sentenza della Corte Costituzionale sull’illegittimità della perequazione degli anni 2012-2013 ha infatti attirato sul dicastero di viale XX Settembre le scure dell’Unione Europea, non tanto interessata alla questione previdenziale italica quanto al rispetto della soglia del deficit, prevista per il 2,6% nel 2015 e tassativamente sotto il 3% per i parametri di Bruxelles. Nel dettaglio gli ultimi provvedimenti a non passare l’esame della Consulta sono stati il blocco dell’adeguamento delle pensioni all’inflazione per gli anni 2012 e 2013 introdotto a fine 2011 dal governo Monti e il contributo di solidarietà per il periodo 2011-2014, entrambi i provvedimenti contenuti nel cosiddetto dl ‘Salva Italia’ redatto dall’ex ministro Elsa Fornero.
In particolare la prima norma prevedeva il mancato adeguamento al tasso di inflazione per tutte le pensioni superiori di tre volte, circa 1500 euro al mese, alla pensione minima garantita. La Corte Costituzionale ha evidenziato che il blocco riguarda due anni invece di uno (come nei casi per i quali invece la Consulta aveva dato il via libera) e incide, senza differenze e scaglioni, anche sugli assegni di valore meno elevato. Per essere chiari, mette sullo stesso piano una pensione di 1500 euro e una pensione di 5mila euro. I limiti al provvedimento sulla ‘solidarietà’ imposta alle pensioni oltre i 90mila euro annui sono stati posti invece perché le pensioni sono considerate ‘una retribuzione differita’ ed è stato ritenuto incostituzionale il prelievo tributario maggiore sui pensionati rispetto ad altre categorie di titolari di reddito.
Morale della favola: il governo dovrà restituire ai pensionati la somma corrispondente allo scatto legato all’inflazione per gli anni 2012 e 2013. Questo però porterebbe a una spesa aggiuntiva di 14 miliardi netti e, di conseguenza, allo sforamento del tetto del 3% del deficit. Ed è qui che interviene l’occhio indagatore dell’Unione Europea. Da Bruxelles trapela la notizia della possibile messa sotto “monitoraggio” dell’Italia da parte della Commissione. L’Europa potrebbe infatti porre come condizione al via libera all’uso della flessibilità richiesto dall’Italia per attenuare la regola del debito e il percorso di rientro del deficit strutturale, la soluzione al ‘problema’ delle pensioni.
Per questo il ministro Padoan (nella foto) si è già messo al lavoro per porre rimedio alla questione pensioni rifacendosi agli stessi criteri indicati dalla Consulta: ‘progressività e temporaneità’. La restituzione sarà modulata in base al valore dell’assegno: avrà di più chi è titolare di un reddito più basso e meno, via via, chi lo ha più alto. Le percentuali di restituzione della perequazione non sono state ancora decise ma nel totale lo Stato verserà un rimborso parziale, una tantum, se è vero che le cifre dovrebbero essere lontane anni luce da quei 14 miliardi preventivati ma molto più vicini ai 3/4 miliardi di restituzioni. Di certo non potrà essere restituito l’intero importo della perequazione.
Una via di mezzo che dovrebbe assicurare il rispetto della decisione della Corte Costituzionale e allo stesso tempo assicurare un deficit al di sotto del 3% e di conseguenza continuare ad avere la flessibilità di bilancio per le riforme in ambito europeo. “Il principio che ci sta guidando nel determinare un metodo che permetta di restituire una parte dell’indicizzazione – spiega Padoan – quindi tenendo conto delle fasce di reddito sia in termini di arretrati sia di trattamenti futuri. Ma allo stesso tempo occorre mantenere sostanzialmente intatta la struttura del Def” assicurando che il decreto sulle pensioni sarà varato in settimana.
Mario Di Ciommo