Le luci si spengono intorno alle 18, dopo quasi 9 ore di lavori, sull’Assemblea del PD. Nessun vincitore, molti invece i vinti. La scissione nel partito è ormai realtà. A nulla sono valsi gli appelli all’unità lanciati da Cuperlo e Veltroni, che con tono grave hanno cercato il più possibile di mettere in guardia i compagni di partito: “La rottura del Pd sarebbe un arretramento e una sconfitta per la sinistra” dice preoccupato il primo. “Se torniamo a Ds e Margherita non chiamatelo futuro” gli fa eco il secondo. Grande assente Massimo D’Alema, additato da Giachetti come vero deus ex machina della scissione, che ritiene il confronto con Renzi “una perdita di tempo”.
Poi è il turno di Michele Emiliano. Il portavoce unico degli scissionisti conclude l’intervento esprimendo fiducia a Renzi, gli si avvicina e gli batte il 5 sulla mano, poi a metà pomeriggio sigla insieme a Rossi e Speranza una durissima lettera in cui attacca il segretario: “I nostri tentativi unitari sono caduti nel nulla. Abbiamo atteso invano un’assunzione delle questioni politiche che erano state poste. La replica finale non è neanche stata fatta. È ormai chiaro che è Renzi ad aver scelto la strada della scissione assumendosi così una responsabilità gravissima”.
“È andata benissimo. Ora il congresso entro maggio e poi il voto a settembre” dice Matteo Renzi alla fine di una giornata che lo vede saltare un giro e ripassare dal via: prima dimissionario, poi ricandidato alla sua stessa poltrona.
E c’è già chi pensa a come ricucire gli strappi: è di alcuni minuti fa la notizia che Andrea Orlando, Gianni Cuperlo e Cesare Damiano in una riunione ieri sera hanno dato vita ad una nuova area dentro il PD, con l’obiettivo di avanzare una proposta politica nuova per rifondare il partito.