Quello dell’alleanza con i Cinque Stelle sta diventando un dilemma shakespeariano per il Pd, e che i dirigenti dem vorrebbero risolvere a partire da domani con la direzione nazionale che darà il via al congresso costituente che si concluderà con le primarie per l’elezione del nuovo leader entro febbraio. Ma la sfida per la leadership può attendere, e l’unico dossier del momento è quello delle elezioni regionali.
Al via quindi il toto-alleanze per Lazio e Lombardia, una partita complicata per il Pd che ha dovuto abbandonare la convinzione che nel Lazio l’accordo con pentastellati e Terzo polo fosse cosa fatta. C’era persino già un nome, quello di Daniele Leodori, vice di Nicola Zingaretti e suo assessore al Bilancio. Ma l’esito delle politiche ha fatto crollare il castello di certezze che il Nazareno si era voluto costruire, e si fa sempre più prepotente il sospetto che Renzi e Calenda non firmeranno nessuna intesa. L’aut-aut del Terzo polo, tra l’altro, è già arrivato: o noi o i Cinque stelle, anche se questa mattina il leader di Azione, in un’intervista a Radio Capital, si è mostrato più indulgente, affermando che “il dialogo non si chiude con nessuno”. E poi il punto interrogativo dei grillini, che di fronte un’alleanza con i dem rischiano – nuovamente – di implodere, con Virginia Raggi sul piede di guerra, pronta ad abbandonare i Cinque stelle.
Anche in Lombardia la strada è tutta in salita, e biforcuta. Da una parte la possibile discesa in campo indipendente di Letizia Moratti, che toglierebbe voti al centrodestra, dall’altra la scarsità di consensi che il partito di Giuseppe Conte raccoglie nella regione. Il nome del candidato, comunque, ancora non è emerso e il Pd ha solo un mese di tempo per trovare la quadra.
Resta il nodo capigruppo, e anche qui i dem sono divisi. C’è chi sostiene di lasciare ai loro posti le attuali presidenti, Simona Malpezzi e Debora Serracchiani, per poi eleggere nuovi capigruppo dopo il congresso, e chi invece sostiene la necessità di un rinnovamento. I nomi che circolano, però, non sono di certo nuovi: per Palazzo Madama il più accreditato sarebbe Dario Franceschini, mentre Nicola Zingaretti mirerebbe a Montecitorio.