Fausto Bertinotti, ex politico e sindacalista italiano, è stato segretario di Rifondazione Comunista dal 1994 al 2006 e presidente della Camera dei Deputati dal 2006 al 2008. Convinto movimentista, è stato molto attivo nel Partito Comunista italiano fino al 1991.
Recentemente lei ha scritto che la “doppiezza” del Pci non fu tra Unione Sovietica e democrazia.
“Non ritengo che sia quella che comunemente si riferisce a Togliatti, ma quella vissuta nel Pci per tutta la durata della sua storia, che è consistita, da un lato nell’adesione senza riserve all’ordinamento democratico e costituzionale, di cui i comunisti erano stati protagonisti nell’antifascismo e nella resistenza, dall’altra nel mantenimento della scintilla del 1921, cioè il tema della rivoluzione per il socialismo. Questa “doppiezza”, secondo me, a differenza di quella descritta dalla maggior parte dei commentatori, è stata feconda, cioè ha consentito di far vivere un processo straordinario di partecipazione popolare”.
Mi pare di capire che questa “doppiezza” rimanga anche durante il periodo di Berlinguer.
“Sì, rimane sempre, fino alla fine. Naturalmente il peso di queste due componenti varia. A volte è soverchiante quello della partecipazione al processo democratico, in altri momenti spunta fuori dal ciclo delle lotte quello del superamento del capitalismo”.
Un superamento del capitalismo inserito comunque nei contorni democratici.
“Tutti quelli che in Occidente si sono occupati di assumere il capitalismo come problema da risolvere hanno pensato non solo che i rapporti tra democrazia e socialismo fossero coniugabili, ma inscindibili. A titolo d’esempio si può pensare a quel nucleo di dirigenti politici del Movimento operaio italiano: Pietro Ingrao, Bruno Trentin e Riccardo Lombardi”.
Poi arriva la “terza via” di Enrico Berlinguer…
“Una via è quella rivoluzionaria, secondo il canone della presa del potere attraverso un elemento di insurrezione o di lotta popolare, che precede la costruzione della società socialista. L’altra via è quella socialdemocratica, nata con il programma di Bad Godesberg, che abbandona esplicitamente con la dottrina marxista anche il problema del superamento della società capitalistica, preoccupandosi della riforma sociale ma omettendo il problema della fuoriuscita dal capitalismo. La “terza via”, elaborata da Berlinguer, ma ancora prima da Pietro Ingrao e altri dirigenti, con qualche approdo nell’eurocomunismo, pensa di poter coniugare il socialismo con la democrazia”.
Il rifiuto della socialdemocrazia rimane esplicito.
“Certamente. A quanti sostengono una svolta socialdemocratica bisognerebbe chiedere quando dallo Statuto del Partito Comunista viene tolto il riferimento al marxismo-leninismo. Basterebbe questo”.
Alcuni commentatori, anche autorevoli, hanno individuato la svolta nel 1944, alcuni anche prima.
“Allora non si spiegherebbe il legame con l’Urss, protratto colpevolmente oltre il tempo necessario, a partire dalla vicenda ungherese del 1956. L’Unione Sovietica, nata per un’idea di liberazione dell’uomo, si è rovesciata in un regime di oppressione. Ma ciò non cambia il contributo dato alla storia del mondo: dalla lotta al nazifascismo al condizionamento implicito e potentissimo sulle conquiste democratiche e sociali dell’Europa occidentale. La critica all’Urss è fondamentale per un’ipotesi di superamento del capitalismo”.
Alla luce della sua esperienza, cosa rimane di quell’esperienza?
“Precisamente la scintilla del 1921: l’idea che sia possibile realizzare una società di liberi e uguali. Non sto parlando di convergenze e similitudini, ma ad Assisi, pochi mesi fa, il Pontefice ha avuto occasione di dire che “non è necessario subire come immodificabile la società in cui siano dominanti il profitto e il denaro”. La riscoperta di Marx negli Stati Uniti, così come la recente enciclica del Pontefice, sono elementi che testimoniano l’esigenza di superare un mondo basato sullo sfruttamento e la disuguaglianza”.