In occasione del centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini, Lumsanews ha intervistato il poeta, scrittore, saggista e critico letterario, Elio Pecora, vicino a molti protagonisti del panorama culturale italiano: da Alberto Moravia a Elsa Morante, passando per lo stesso Pasolini. Pecora ha tratteggiato il rapporto dell’artista bolognese con la città di Roma, evidenziando la grande eredità che ha lasciato fino ai giorni nostri.
Quali ricordi ha della figura di Pasolini, sia dal punto di vista umano che dal punto di vista artistico?
“Non l’ho frequentato molto però ho avuto modo di conoscerlo, gli ho parlato e l’ho incontrato più volte, anche a casa di amici. Mi ricordo la gentilezza della persona e la grazia della voce. E poi le sue certezze di un mondo che non amava e che lo voleva molto diverso. Era una persona gentile ma una figura straziata per tutto quello che gli era accaduto. La mattina in cui è stato trovato morto ero con Moravia che mi aveva chiamato e siamo andati insieme all’Idroscalo”.
Come si può definire il rapporto di Pasolini con la città di Roma?
“Si può dividere in due fasi: la prima era quella più felice anche se povera, quando abitava in quartieri periferici. Era una Roma antica e popolare, prima dell’industrializzazione, non molto distante dal mondo che lui aveva vissuto in Friuli. Ne ha assunto la forza del dialetto, l’immediatezza dei sentimenti e dei comportamenti. Lo vediamo nei primi film come ‘Accattone’, ‘Mamma Roma’ e ‘La Ricotta’, dove Pasolini esalta una verità primaria, spoglia di ogni finzione e abbellimento. E poi c’è la seconda fase, che è coincisa con la metà degli anni Sessanta, in quella rincorsa a un finto benessere che ha toccato l’intera Europa. Pasolini aveva un’idea molto sacra della vita e della dignità umana, che non doveva essere turbata dall’ipocrisia e dalla bugia. Ha vissuto una doppia Roma, con zone e priorità diverse”.
Quale Roma si è trovato davanti Pasolini al suo arrivo?
“Erano luoghi di costruzioni povere, di casupole, di grandi campi. Una periferia disadorna, prima della grande edilizia. Pasolini è arrivato a Roma nei primi anni Cinquanta, costretto a venire via dal Friuli con la madre. Aveva davanti una città che si portava dietro tutti gli strascichi del Dopoguerra, ma si percepiva l’entusiasmo di una possibile rinascita. Nuova vita anche nel mondo delle arti, se pensiamo al cinema, alla letteratura e alla pittura. Pasolini si è trovato in un mondo molto ricco e positivo, pieno di espressione, in cui è venuto fuori tutto il suo talento”.
Qual è stata la più grande eredità che ha lasciato l’artista, a cento anni dalla sua nascita?
“La sua capacità infinita di cercare e riflettere sulle vere ragioni dell’esistenza umana. Pasolini ha visto negli anni Sessanta e Settanta quelli che sono tuttora i mali della nostra società e dell’Italia. Nella quotidianità la sua parola risuona ancora molto forte e vicina, a quasi 50 anni dalla sua morte. Quello che ha fatto Pasolini è stato compiuto già nell’Ottocento da poeti come Baudelaire o scrittori come Dostoevskij, cioè mettersi a nudo per cercare la propria essenza”.