Sabato 29 ottobre l’Islanda andrà al voto. E gli esiti potrebbero essere davvero clamorosi. Dopo lo scandalo dei Panama Papers, che hanno costretto nello scorso aprile alle dimissioni il primo ministro Sigmundur Davíð Gunnlaugsson, i favoriti sembrerebbero i Pirati. O meglio, gli esponenti del Partito Pirata islandese, il Piratar, ed il loro capo Birgitta Jónsdóttir, “poetessa e membro del parlamento islandese per il partito Pirata, exWikiLeaks”, come recita la sua biografia su Twitter, sostenuta da Chelsea Manning ed Edward Snowden (rispettivamente militare e informatico americani che passarono segretamente documenti top secret a Julian Assange, fondatore di WikiLeaks, appunto, ndr).
Il Piratar, che nemmeno esisteva quattro anni fa, nelle elezioni del 2013 ha ottenuto tre seggi. Ma sembra avere più di una chance oggi: in un paese che è sempre stato all’avanguardia, eleggendo nel 2009 Jóhanna Sigurðardóttir, prima premier dichiaratamente omosessuale, tutto è possibile. Anche perché i Pirati si presentano con un programma preciso e all’avanguardia: democrazia diretta, riforma del diritto d’autore e libertà di informazione sono i cavalli di battaglia, o meglio i cannoni del galeone, con cui la Jónsdóttir e la sua ciurma sembrano aver convinto una nutrita schiera di islandesi. Secondo una indagine odierna, la MMR vede i Pirati al 19,1% delle preferenze, all’abbordaggio della maggioranza del Partito Indipendentista, al 21,9%.
Non mancano i detrattori del Partito Pirata, con il Washington Post che sulla sua edizione online li presenta come: “Una collezione di anarchici, hacker, libertarianisti (dottrina che pone la libertà come più alto fine politico, ndr) e entusiasti del web”. Lo stesso giornale segnala poi che, in un anno così politicamente difficile, e che ha già visto la vittoria della nomination repubblicana negli Usa da parte di Donald Trump e la Brexit, il mondo potrebbe assistere concretamente alla nascita del primo governo Pirata della storia. Almeno quella moderna.