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"Wojtyła è stato mediatore
nella caduta del Muro
ha garantito la pace"

Parla lo storico Agostino Giovagnoli

sul ruolo di Giovanni Paolo II

di Patrizio Ruviglioni29 Ottobre 2019
29 Ottobre 2019

Secondo molti storici, Giovanni Paolo II ebbe un peso fondamentale nella caduta del Muro di Berlino. Per Agostino Giovagnoli, storico, professore ordinario all’Università del Sacro Cuore di Milano ed esperto delle relazioni internazionali della Chiesa cattolica, Papa Wojtyła contribuì alla disgregazione della cortina di ferro soprattutto come mediatore, fra regimi comunisti, popoli dell’Europa Orientale e Stati dell’Ovest.

In un’intervista a Lumsanews ricostruisce il suo ruolo nel panorama internazionale di quegli anni.

Quale Europa immaginava Karol Wojtyła? Che idea di unità aveva?

«Aveva un’idea ampia, che andava, come diceva lui, ‘dall’Atlantico agli Urali’. Dall’Ovest all’Est, unendo quindi i suoi due “polmoni”: l’Europa occidentale e quella orientale che lui conosceva bene per motivi biografici. Quindi un’idea di continente unico, ma duplice. Lui ha sempre ragionato così, da quando era a Cracovia. Questa idea nasce anche dal suo vissuto personale: Wojtyła veniva dalle esperienze tragiche dei lager e dei gulag, e di un’Europa che riscopre l’uomo e il suo valore. Un impianto umanistico insomma».

C’è chi ha detto che senza Wojtyła il Muro non sarebbe caduto. Qual è stato il suo ruolo?

«Fu soprattutto un mediatore, fra Est, Ovest e popoli che vivevano nei regimi comunisti. Le dinamiche che hanno portato alla caduta del Muro sono ampie, Giovanni Paolo II fu importantissimo nel favorire il processo e – soprattutto – le modalità pacifiche. Insomma: poteva finire molto peggio, poteva finire con una guerra civile. Invece, a parte la Romania, la fine dei regimi comunisti è stata relativamente pacifica, e in questo Wojtyła è stato una guida. In Polonia per esempio lui favorì la crescita graduale della coscienza di libertà nelle persone: sapeva che così il regime si sarebbe logorato da sé, senza scontri. Anche per questo frenò gli impazienti, cioè quei movimenti di rivolta all’interno dei Paesi dell’Est che sarebbero potuti sfociare nella violenza».

Agostino Giovagnoli

A proposito di mediazione: che rapporti aveva con l’allora presidente degli Stati Uniti, Ronald Reagan?

«Furono relazioni importanti. Giovanni Paolo II allacciò il rapporto diplomatico della Santa Sede con gli Stati Uniti durante il suo pontificato. E, in quanto figura di rilevanza mondiale, aveva rapporti con i presidenti di tutti gli Stati. Ma accostarlo troppo a Reagan significa banalizzare il ruolo del Papa e le sue modalità di intervento».

Perché?

«Perché avevano due visioni molto diverse su come ‘sconfiggere’ il comunismo. Per Reagan, la guerra fredda era una lotta aperta contro ‘l’impero del male’, e in base a questo la propaganda occidentale ha cercato di impadronirsi di Wojtyła per farne un campione di conservatorismo. Ma è un ritratto a uso e consumo dell’occidente: in realtà Giovanni Paolo II rimaneva fortemente autonomo nella sua lotta: era un pacifista convinto, un mediatore».

Del resto, il Papa aveva perplessità anche nei confronti del capitalismo.

«Certamente, ne è una prova l’incontro con Gorbaciov del 1989. Giovanni Paolo II voleva evitare l’appiattimento dell’Europa sul modello occidentale e preservare l’identità dell’Europa Orientale. Wojtyła sognava un mondo che sapesse attingere alla propria tradizione, alla cultura slava, all’ortodossia. Lui parlava di un’Europa composta da due ‘polmoni’, Est e Ovest, e un’eventuale unità del continente doveva tener conto di entrambi».

Che idea di libertà politica e religiosa aveva Wojtyła?

«Che non bisogna mai rassegnarsi alla violenza, in nessun caso. È una lotta che nasce da sé stessi. Lui diceva: ‘Non preoccupatevi del nemico esteriore, ma di quello interiore’, della complicità passiva e involontaria delle vittime nei confronti dei regimi. È questa la forza dei regimi, e Giovanni Paolo II lo sapeva. La chiave, per lui, era questa libertà interiore, prettamente cristiana fatta di coraggio, vigore, opposizione. In Polonia è stato un oppositore leale del regime comunista: era contrario, ma i documenti dei servizi segreti dimostrano che lui non abbia mai tradito nessuno».

Che perplessità nacquero in Wojtyla dopo quegli eventi?

«Ha visto un’Europa che si allontanava dalle radici cristiane, a occidente come a oriente, che lui disapprovava. Ha visto un’Europa materialista, che si è un po’ ‘ritirata dal mondo’, ripiegata su sé stessa. Nonostante nei documenti fondativi dell’Unione Europea ci sia qualche traccia di cristianità, quello che aveva di fronte era un continente ormai impoverito spiritualmente. E questo lui non lo accettava».

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