Jorge Mario Bergoglio è stato eletto Papa il 13 marzo 2013. Dodici anni di riforme, viaggi, incontri e forti scelte di governo. Amato dai più e osteggiato da alcuni, Francesco ormai guida la Chiesa da vero leader mondiale e non solo come autorità religiosa. Alberto Melloni, ordinario di Storia del cristianesimo all’Università di Modena-Reggio Emilia e uno dei sette Chief Scientific Advisors della Commissione Europea, ripercorre, in un’intervista rilasciata a Lumsanews, le tappe del pontificato di Bergoglio.
Papa Francesco ha rimesso sotto gli occhi dei credenti l’immagine di un Dio di misericordia che perdona tutto e perdona sempre. La Chiesa era pronta a tutto questo?
“La misericordia è una delle grandi chiavi del Pontificato di Francesco. In realtà, è anche una delle ragioni per cui è stato eletto papa il 13 marzo 2013. Il suo discorso al Collegio Cardinalizio, che gli ha fatto guadagnare voti e visibilità, era incentrato proprio sull’immagine di un Dio che perdona tutto e perdona sempre. Purtroppo, però, il magistero del Pontefice, su questo, non si è saldato con un tentativo di ripensare la penitenza, che è un sacramento ‘desertificato’ e nel quale non si sa più come orientarsi. La misericordia è una di quelle perle del Pontificato che si traduce faticosamente in passi concreti per la vita dei credenti”.
“Ho sentito che dovevo venire qui a pregare”. Queste le sue parole nell’omelia a Lampedusa dell’8 luglio 2013. Francesco è il Papa dei migranti?
“La Chiesa, spesso in arretrato rispetto alle diverse sensibilità di altre istituzioni, sulle migrazioni è sempre stata davanti a tutti. Già ‘Pacem in terris’ – enciclica pubblicata da Papa Giovanni XXIII nel 1963 – chiariva che migrare è un diritto umano. Francesco si è trovato davanti a un contesto politico nel quale il tema dei migranti è diventato la bandiera delle destre, da Donald Trump a Giorgia Meloni. Il problema del ‘cosa fare di masse sfruttate e intimidite dai conflitti’ è un tema che il Papa ha spesso coniugato anche con la questione climatica e la questione della guerra. Paradossalmente, pur essendo l’unico stato che non ospita migranti, il Vaticano è quello che ha avuto più di tutti e meglio di tutti una visione complessiva e globale del fenomeno”.
L’enciclica ‘Laudato si’’ è un appello sulla “cura della nostra casa comune”. Molti sostengono che con quel documento Bergoglio abbia aperto per primo il dibattito sul rispetto dell’ambiente. È davvero così?
“No, assolutamente. Il tema ecologico era stato già posto con parole molto forti alla Conferenza delle Chiese europee di Basilea del 1989. In questo la Chiesa cattolica è arrivata tardi anche rispetto ai movimenti verdi. Francesco ha detto spesso, scherzando, che in realtà ‘Laudato si’’ è un’enciclica rossa e non verde, come molti credono. In sostanza, Bergoglio ha posto il tema ambientale come la contestazione di una concezione capitalista della società e dell’economia. Il Papa si è schierato contro un nuovo pericoloso capitalismo, in grado di sfruttare le terre rare e, al tempo stesso, capace di promuovere diseguaglianze di ogni tipo”.

Bergoglio si è sempre opposto alla logica della guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali. A questo desiderio di pace è corrisposto un ruolo chiave della Santa Sede nel superamento dei conflitti in corso?
“Sul tema della pace, in realtà, Francesco ha proseguito la linea già tracciata dai suoi predecessori. A tal proposito, il vero elemento di novità, sepolto da un sospetto silenzio delle opinioni pubbliche occidentali, è inserito nell’enciclica ‘Fratelli Tutti’. In quel documento Bergoglio condanna il possesso delle armi atomiche. Questo era già implicito in ‘Pacem in terris’, ma il Concilio Vaticano II non riuscì ad alzare la voce, perché gli americani ritenevano che un’esplicita condanna della Chiesa nei confronti dell’atomica li avrebbe indeboliti agli occhi dell’Urss. Su questo tema, però, non basta il magistero pontificio, ma serve anche la sensibilità di tutti i cattolici e l’impegno dei vescovi”.
“Chi sono io per giudicare?”, disse Bergoglio durante il volo di ritorno dal Brasile nel luglio 2013. Undici anni dopo, nel maggio 2024, il “no” categorico ai seminaristi omosessuali, segnato da quell’infelice “c’è già troppa frociaggine”. A che punto siamo su questo fronte?
“Su questo tema mi pare che Bergoglio abbia una posizione dubbia. Da un lato, sulle persone omosessuali che non sono chierici ha un atteggiamento di sacrosanta apertura. Anche perché nessuno ha mai domandato a uno che va all’altare a comunicarsi con chi dormiva la sera prima. Dall’altro lato, lui sa che, all’interno del clero, in una Chiesa con un’importante componente omofoba, la pratica omosessuale può essere oggetto di un meccanismo di ricatti e contro-ricatti. In fondo, è per questo che Bergoglio ritiene sconveniente ammettere in seminario persone omosessuali”.
Cosa aspettarsi ancora da questo Pontefice? E cosa sperare per la Chiesa?
“Questo papa ha avuto un pontificato bifronte. Da un lato c’è stato ‘un Francesco del pulpito’, che è stato di grande freschezza evangelica, capace di una predicazione commovente. Al punto che un mio collega, parlando di questo, una volta mi disse: ‘Se sapevo che era così, non diventavo neanche ateo’. Dall’altro lato c’è ‘un Francesco del trono’, l’uomo che governa da solo. Ascolta tutti ma poi decide da sé. Gli auguro di riuscire a non perdere nulla di quella freschezza evangelica e, al tempo stesso, di ripristinare, in obbedienza al Concilio Vaticano II, i principi della collegialità episcopale”.