I mafiosi come “Erodi” del nostro tempo, che non guardano in faccia all’innocenza degli adolescenti. Sono le parole di Papa Francesco, firma illustre della prefazione al libro che il vescovo di Catanzaro Vincenzo Bertolone ha dedicato a Rosario Livatino. Il “giudice ragazzino” vittima della mafia nella Sicilia degli anni Ottanta, il 9 maggio sarà proclamato beato ad Agrigento.
“Picciotti, che cosa vi ho fatto?” sono le ultime parole di Livatino prima di essere martoriato dai proiettili. Un “grido di dolore e al tempo stesso di verità” – scrive il Francesco nel testo anticipato da Vatican News – che svela la negazione intrinseca del Vangelo da parte delle mafie, “a dispetto della secolare ostentazione di santini, di statue sacre costrette ad inchini irriguardosi, di religiosità sbandierata quanto negata”.
Il pontefice lo omaggia definendolo una figura esemplare per i magistrati di oggi “per la sua coerenza tra la sua fede e il suo impegno di lavoro e per l’attualità delle sue riflessioni”. Un ruolo di giudice, quello svolto da Livatino, sempre ponendosi “da cristiano il problema del perdono” e affidandosi quotidianamente a Dio, “un luminoso punto di riferimento soprattutto per i giovani che, tuttora, vengono irretiti dalle sirene mafiose per una vita di violenza, di corruzione, di sopraffazione e di morte”.
Bergoglio esorta a prendere la “testimonianza martiriale di fede e giustizia” di Livatino come “seme di concordia e di pace sociale”. Prosegue ricordando la visita ad Agrigento nel 1993, in cui Giovanni Paolo II augurò concordia e pace alla terra siciliana e che “questi che portano sulle loro coscienze tante vittime umane, devono capire, devono capire che non si permette uccidere innocenti!”
“A Rosario Angelo Livatino, rendiamo grazie per l’esempio che ci lascia – prosegue il pontefice – “per aver combattuto ogni giorno la buona battaglia della fede con umiltà, mitezza e misericordia”. “È questo il seme piantato, è questo il frutto che verrà.” conclude.