Senza scorta, senza seguito e senza segretario. Arriva così Papa Francesco, con la sua solita semplicità, al Centro Astalli di Roma, sede italiana del Servizio dei Gesuiti per i rifugiati che, da oltre trent’anni, accoglie e aiuta le persone fuggite da guerre, violenze e torture. La stessa semplicità con la quale oggi scrive a Repubblica per rispondere alle domande su fede e laicità che Eugenio Scalfari gli aveva posto su due numeri del suo giornale.
La visita al Centro si pone in continuità con quella a Lampedusa, suo primo viaggio in Italia, e che quindi conferma la sensibilità del Papa a questo tema.
Ad accoglierlo, alle 15.30, il cardinale Agostino Vallini, vicario di Roma, il vescovo ausiliare Matteo Zuppi, il provinciale d’Italia dei gesuiti, padre Carlo Casalone e altri rappresentanti della congregazione religiosa a cui il Papa stesso appartiene.
Con la spontaneità che lo contraddistingue il Pontefice, appena arrivato, si è fermato ad ascoltare le storie di alcuni ospiti del Centro che stavano consumando il proprio pasto nella mensa e, prima di spostarsi nell’attigua Chiesa del Gesù, si è raccolto in una preghiera privata e silenziosa in una cappellina. Nella bellissima chiesa gremita da oltre 500 persone ha ricevuto il saluto di padre La Manna, direttore del Centro, e di due rifugiati, il sudanese Adam e la siriana Carol che, con parole accorate, ha descritto la tragedia del suo Paese. «I nostri ragazzi – ha detto – sono stati tutti arruolati o uccisi in una guerra per noi senza senso. Dovranno passare almeno 50 anni prima che in Siria si possano avere nuove generazioni. Siamo un Paese senza futuro. Ma in Italia – ha aggiunto – non vogliamo essere di peso».
E il Papa che sogna «una Chiesa povera per i poveri», come aveva affermato con forza a pochi giorni dalla sua elezione, continua sulla stessa linea: «Carissimi religiosi e religiose – ha detto Bergoglio – i conventi vuoti non servono alla Chiesa per trasformarli in alberghi e guadagnare soldi. I conventi vuoti non sono nostri, sono per la carne di Cristo che sono i rifugiati». E ha proseguito dicendo che coloro che hanno questo status sono «uomini e donne da servire, accompagnare, difendere». «Servire – ha spiegato ancora il Papa – significa accogliere la persona che arriva con attenzione; significa chinarsi su chi ha bisogno e tendergli la mano senza calcoli, senza timore, con tenerezza e con comprensione, come Gesù si è chinato a lavare i piedi agli apostoli». «La parola «solidarietà fa paura al mondo più sviluppato. Cercano di non dirla. È quasi una parolaccia per loro. Ma è la nostra parola!», ha quasi urlato con quel suo tono perentorio e dolce allo stesso tempo, perché «l’accoglienza e la fraternità aprono una finestra, anzi una porta, sul futuro».
Duro anche l’intervento di padre La Manna che ha denunciato un atteggiamento negativo dell’Italia nei confronti dei rifugiati: «La legge italiana ha spacciato l’accoglienza come un reato, criminalizzando l’arrivo in Italia di profughi che fuggono dalle guerre, oggi dal conflitto in Siria».
Allora Francesco, ancora una volta, ha indicato la strada: «La misericordia vera chiede a noi Chiesa, a noi città di Roma, alle istituzioni che nessuno debba più avere bisogno di una mensa, di un alloggio di fortuna, di un servizio di assistenza legale per vedere riconosciuto il proprio diritto a vivere e lavorare».
Francesca Polacco