Antonio Rescifina è componente della Basketball For Good Advisory Committee della Fiba, la International Basketball Foundation, ed è stato presidente del Comitato Regionale siciliano della Federazione Italiana Pallacanestro.
Perché negli ultimi ventuno anni nella serie A italiana si sono registrati altrettanti fallimenti?
“I problemi principali che ho riscontrato nella mia esperienza sono due. Il primo è che una squadra di basket nel tempo non è stata trattata come un’azienda a tutti gli effetti. Non può essere gestita a livello amatoriale. Servono competenze e imprenditorialità specifiche, che talvolta mancano o sono mancate. Il secondo aspetto è legato al fatto che anche chi sa gestire perché nella vita è un imprenditore affermato spesso si è fatto fregare dal fattore dell’empatia. La passione è meravigliosa, però ti acceca. Non permette di calcolare il peggio: l’infortunio dei giocatori su cui hai deciso di investire, sponsor che vengono meno durante la stagione per differenti motivazione. Ma quando c’è la passione è come se si è innamorati. Non si affrontano le decisioni con la necessaria lucidità”.
Dal punto di vista istituzionale sono state prese decisioni efficaci per fermare questa tendenza?
“Le strutture istituzionali possono fare poco perché non possono gestire la squadra per conto dell’imprenditore. Il passo che potrebbe essere compiuto, ma che al momento non è nemmeno in cantiere, è far sì che le squadre puntino sul mondo dei social, che sempre di più sta diventando un canale imprenditoriale di riferimento per qualsiasi tipo di aziende, non soltanto per le squadre sportive. Io adesso in particolare faccio parte della International Basketball Foundation della Fiba e mi occupo di portare la pallacanestro là dove non c’è. Avvicinare i bambini allo sport, promuovendo il basket come mezzo educativo. Non saprei dire come Fip e Coni abbiano intenzione di gestire questo fenomeno, che non rientra tra i compiti diretti della Federazione Internazionale”.