E’ passata in secondo piano per via dell’inizio dei raid russi sulla Siria, ma ieri all’assemblea generale dell’Onu è stata la giornata dell’orgoglio palestinese. Iniziata con la storica cerimonia del primo alzabandiera del vessillo bianco, verde, rosso e nero, e proseguita pochi minuti dopo con il clamoroso strappo del presidente dell’Autorità nazionale palestinese Mahmoud Abbas – meglio conosciuto con l’ex nome di battaglia “Abu Mazen” – che ha sospeso unilateralmente gli accordi di Oslo, firmati a Washington nel 1993 dal suo predecessore Yasser Arafat, chiedendo «protezione internazionale».
La fine di un’epoca? «Fino a che Israele rifiuta di impegnarsi sugli accordi firmati con noi rendendoci un’autorità senza poteri reali rifiutandosi di fermare le attività di colonizzazione e di liberare i prigionieri palestinesi – ha detto Abu Mazen – non abbiamo altra scelta: non possiamo essere i soli ad attuare gli impegni mentre Israele li viola continuamente». Il presidente palestinese ha anche denunciato le recenti incursioni della polizia israeliana nella moschea di Al-Aqsa:
«Chiedo al governo di Israele di fermarsi prima che sia troppo tardi – ha detto ancora Abu Mazen – di non colpire i luoghi sacri dell’Islam e della cristianità a Gerusalemme: o si perseguono la pace e la soluzione dei due stati, o si incoraggia l’estremismo». Durissima la risposta dello Stato ebraico, per bocca del primo ministro Benjamin Netanyahu, mentre Hamas – che controlla la striscia di Gaza – avrebbe voluto non una semplice sospensione ma la cancellazione definitiva di tutti gli accordi, compresi quelli legati alla sicurezza, tra lo Stato ebraico e l’Autorità nazionale palestinese.
La strategia multilaterale. In effetti, già da un paio d’anni Abu Mazen sembra non credere più al dialogo bilaterale con Israele, che da parte sua non ha mai interrotto la costruzione di nuovi insediamenti ebraici nella Cisgiordania occupata dal 1967. Per questo il presidente palestinese ha messo in atto una vera offensiva diplomatica, iniziata con l’adesione alla Corte penale internazionale e culminata lo scorso anno con il voto favorevole dell’assemblea generale dell’Onu all’ingresso della Palestina come «Stato osservatore». L’obiettivo di Abu Mazen – ribadito ieri dal podio di New York – è quello di giungere ad una conferenza internazionale per la Palestina, sul modello di quelle (tentate, ma non sempre riuscite) per l’Iraq e l’Afghanistan. Del resto, dopo l’assassinio nel 1995 del primo ministro laburista israeliano Yitzhak Rabin, il «processo di pace» bilaterale si è progressivamente impantanato, fino a bloccarsi del tutto a più riprese, specie dopo il fallimento del vertice di Sharm El-Sheikh e l’inizio della nuova Intifada nel 2000.
Sventola la bandiera. Intanto ieri a New York ha sventolato per la prima volta il vessillo dell’ANP. Alla cerimonia dell’alzabandiera hanno partecipato, significativamente, il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius e il suo collega russo Serghey Lavrov, mentre erano assenti i rappresentanti di Usa e Israele: «E’ una giornata di orgoglio per i palestinesi di tutto il mondo – ha affermato il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon – Dobbiamo realizzare le aspirazioni che questa bandiera rappresenta, ossia Israele e Palestina che vivono fianco a fianco in pace e sicurezza».
Alessandro Testa