Ieri Pier Carlo Padoan si è insediato in via XX settembre, sede del ministero dell’economia, ricevendo le consegne da Saccomanni. Al momento del giuramento del governo Padoan si trovava a Sidney, nelle vesti di vice presidente dell’OCSE. Il Quirinale ha sostenuto la nomina di Padoan per il buon credito internazionale di cui gode (oltre al ruolo di primo piano nell’OCSE è direttore esecutivo del FMI), utile a rassicurare i consessi economici mondiali.
Tra le prime tappe nell’agenda del neo-ministro c’è il cuneo fiscale, per il quale Renzi ha proclamato tagli a doppia cifra. Confindustria si attende una riduzione dei costi sul lavoro per almeno dieci miliardi nel secondo semestre del 2014. Ciò significa che Padoan dovrà tirare fuori dal cappello circa cinque miliardi per coprire i mancati introiti. L’opposizione sente puzza di bruciato: Mister Patrimoniale, come è stato ribattezzato Padoan dalla stampa di destra, potrebbe andare a pescare i fondi di cui ha bisogno dalla grande rendita finanziaria.
Le parole del professore, che ha sottolineato le “conseguenze positive” di un’eventuale tassazione patrimoniale, per alcuni commentatori suonano come una minaccia. Per Libero, Padoan è poco più di un tecnico, approvato dalla Merkel e pilotato dal commissario degli affari economici europei, Olli Rehn.
I detrattori di Padoan ricordano il suo background: consigliere di Amato, con l’ultima patrimoniale del suo governo, fu tra gli autori dell’”incursione non autorizzata” nel conto corrente degli italiani.
“Le tasse che danneggiano di meno la crescita sono quelle sulla proprietà” ha ricordato in questi giorni, sulle pagine di Repubblica, Padoan, “mentre le tasse che, se abbassate, favoriscono di più la ripresa e l’occupazione, sono quelle sul lavoro.”
