Birdman – A chi ce l’ha con lo star system americano, Hollywood questa notte ha dimostrato di non saper soltanto incassare le critiche, ma di essere addirittura in grado di premiarle. A essere eletto come Miglior Film 2015 è stato infatti “Birdman” in cui Michael Keaton interpreta un po’ se stesso: un attore identificato soltanto con il ruolo di supereroe in cui si è calato per due volte negli anni ’90. Per Keaton si trattava di Batman; il suo personaggio è invece perseguitato da Birdman, un alterego che, con le sue grandi ali, lo perseguita ricordandogli che il suo successo da blockbuster l’ha condannato, impedendogli di poter essere considerato un artista. È una pellicola che indaga l’uomo e ne denuda paure e ossessioni puntando su uno stile iper-realista che funziona grazie alla regia eccezionale di Alejandro González Iñárritu. Anche lui porta a casa l’Oscar, imponendosi come secondo messicano in due anni (nel 2014 Alfonso Cuaròn vinse per “Gravity”) a ottenere la statuetta per la Miglior Regia: segno che Hollywood non è più chiusa in se stessa, ma si guarda intorno ed è pronta ad accogliere realtà diverse.
A “Birdman” sono andati altri premi importanti quali gli Oscar alla Miglior Fotografia e alla Miglior Sceneggiatura Originale che hanno portato il film a quota quattro statuette.
Grand Budapest Hotel – A fare altrettanto bene è stato “Grand Budapest Hotel”, pellicola divertente ed elegante del visionario Wes Anderson: sono suoi la Miglior Scenografia, il Miglior Trucco, la Miglior Colonna Sonora (al francese Alexandre Desplat che conquista la prima statuetta dopo otto nomination) e i Migliori Costumi (il quarto per l’italiana Milena Canonero, storica collaboratrice del maestro Stanley Kubrick).
La malattia è il tema principe – A vincere come Migliori Attori Protagonisti sono Eddie Redmayne e Julianne Moore, entrambi per interpretazioni di personaggi affetti da gravi malattie: il primo in “La Teoria del Tutto” ha commosso il mondo intero con un ritratto incredibilmente verosimile del cosmologo Stephen Hawking, malato di SLA da circa 50 anni; mentre la Moore ha interpretato in “Still Alice” una linguista che si scopre affetta da Alzheimer. Premi che hanno dato anche la possibilità di focalizzare l’attenzione, nei discorsi di accettazione, su queste due gravi malattie.
I temi sociali – Quest’anno, più che mai, la serata degli Oscar è stata teatro di grandi denunce sociali. Patricia Arquette, a cui è stato assegnato il premio come Miglior Attrice Non Protagonista, ha voluto ricordare le discriminazioni ancora vigenti nei confronti delle donne lavoratrici, che continuano a percepire stipendi più bassi degli uomini. J.K. Simmons, premiato come Miglior Attore Non Protagonista, per l’incredibile performance dell’esigente e dispotico insegnante di musica di “Whiplash”, ha ricordato l’importanza dei genitori, che, da anziani, non dovrebbero essere lasciati soli. «Non mandate loro sms» si è raccomandato Simmons «chiamateli e restate al telefono con loro quanto vogliono».
Quando John Legend ha ritirato dalle mani di Julie Andrews l’Oscar per la Miglior Canzone, ha ricordato quanto sia ancora importante lottare per l’uguaglianza. La sua canzone, “Glory”, è stata scritta per “Selma – La strada per la libertà”, un film sulle marce pacifiche organizzate da Martin Luther King con lo scopo di riaccendere la sensibilità nei confronti dei diritti civili. «Il film parla di qualcosa accaduto 50 anni fa» ha spiegato John Legend «ma la lotta per la giustizia è ancora necessaria oggi in tutto il mondo».
In ultimo il trentaquattrenne Graham Moore, vincendo l’Oscar, totalmente inaspettato, per la Miglior Sceneggiatura Non Originale di “The Imitation Game”, ha mandato ai giovani un messaggio chiaro e forte, che ha commosso molti in sala. «Continuate a essere strani. Continuate a essere diversi»: questo l’appello di Moore, dopo aver confessato di aver tentato il suicidio, da ragazzo, perché non si sentiva accettato dagli altri. «Oggi sono qui su questo palco, un giorno ci sarete anche voi, non vi arrendete »: ha continuato, mostrando trionfante la statuetta dorata. A darli la forza e l’ispirazione è stato uno dei grandi “diversi” della storia, il matematico Alan Turing, sulla cui vita è basato “The Imitation Game”.
Gli Oscar animati – Tra gli altri premi da citare, sicuramente, i due per i film d’animazione, entrambi assegnati ai Walt Disney Studios per l’originale lungometraggio “Big Hero 6”, nato dalla prima collaborazione con la Marvel; e per il cortometraggio “Winston”, realizzato con l’innovativa tecnica ‘meander’, un mix tra l’animazione tradizionale e moderna CGI.
La conduzione – La prima conduzione di Neil Patrick Harris non è riuscita a raggiungere il successo dell’edizione passata, guidata dalla carismatica Ellen DeGeneres, ma ha comunque regalato dei momenti memorabili, come l’omaggio ai cinquant’anni di “Tutti insieme appassionatamente” con un’esibizione di Lady Gaga nella celebre “The Sound of Music”; o lo spettacolo d’apertura, connubio di citazioni dei più grandi film della storia, da “Star Wars” a “Cantando sotto la pioggia”.
Nota nera è stato sicuramente il “In Memoriam”, momento in cui si ricordano tutti i talenti del cinema scomparsi nel corso dell’anno: l’Academy of Motion Picture Arts and Sciences ha dimenticato di citare il padre del cinema italiano d’inchiesta Francesco Rosi, deceduto lo scorso 10 gennaio. La mancanza non è passata inosservata e sono molti i cinefili a sperare in delle scuse.
Corinna Spirito