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Opportunità o business, la prova degli stadi privati

di Davide Di Bello31 Marzo 2017
31 Marzo 2017

Finita l’epoca dei grandi presidenti mecenati, gli stadi di proprietà rappresentano un vantaggio competitivo sia a livello finanziario che sportivo e di spettacolo. Negli ultimi 8 anni sono stati presentati in Europa ben 58 progetti legati a stadi di nuova costruzione o alla riqualificazione di strutture già esistenti. E in questa direzione sono andate le ultime disposizioni della riforma Madia sull’impiantistica sportiva, volte a velocizzare la realizzazione delle nuove strutture e la ristrutturazione o l’ammodernamento di impianti vetusti, delineando iter e tempistiche di costruzione, anche nell’eventualità di poter ospitare in Italia grandi manifestazioni internazionali.

Il panorama italiano ed europeo: due mondi a confronto

Il confronto tra Europa e Italia appare impietoso per il Belpaese. Se in Europa i moderni stadi di proprietà rappresentano una realtà ormai consolidata da tempo, il fallimento italiano è da imputare ad un duplice ordine di ragioni: estetiche ed organizzative. Colpa di stadi vecchi, fatiscenti e inospitali, dove spesso la partita si vede male, che impallidiscono al confronto con gli stadi europei di nuova generazione; senza dimenticare l’ulteriore inasprimento delle misure di controllo sulle modalità di acquisto dei biglietti e di fruizione dello stadio.  L’enorme differenza risulta evidente nei numeri del cosiddetto load factor: considerando i cinque maggiori campionati europei, la nostra Serie A è penultima per quanto riguarda la media spettatori ed ultima per quanto riguarda la percentuale di riempimento degli impianti.

In Italia è stata la Juventus a fare da apripista. Il nuovo impianto bianconero, per il quale la società ha scelto un formato medio da 41mila posti, è stato inaugurato nel 2011 ed è divenuto un fattore sia a livello sportivo che economico.

L’esempio della Juventus è stato seguito da Udinese e Sassuolo, che però ha acquistato l’impianto una volta di proprietà della Reggiana, e di recente è stato inaugurato l’impianto del Frosinone. Inoltre sono stati presentati i progetti anche da parte di Fiorentina e Cagliari, mentre lo stadio della Roma è divenuto un vero e proprio caso.

Con il presidente dell’Aic Damiano Tommasi abbiamo parlato dell’attuale situazione degli stadi e della possibilità di rilancio del calcio italiano attraverso la realizzazione degli impianti di proprietà.

Un nuovo modello di stadio e di business

La nuova impiantistica sportiva è stata caratterizzata dal disimpegno del pubblico a favore dell’ascesa del modello privatistico. La logica alla base degli stadi di proprietà rappresenta la sintesi tra cultura sportiva e cultura di impresa e punta a massimizzare il potenziale degli impianti. Gli stadi si trasformano perciò in centri direzionali, la vera e propria casa del club, che vede sorgere il museo e lo store della squadra, ma anche un’altra serie di servizi, volti a far coincidere una congrua remunerazione per gli azionisti e la copertura economico-finanziaria per la progettualità futura del club. Lo stadio 3.0 si propone di offrire contemporaneamente spettacolo e prodotti sportivi, intrattenimento, servizi commerciali e ristorazione, garantendo un’esperienza più completa per il tifoso e grandi dividendi ai proprietari.

Nei conti del calcio italiano risulta evidente l’eccessiva dipendenza delle società dai soldi delle televisioni, a scapito degli introiti da stadio e commerciali. I diritti tv occupano quasi il 60% del bilancio, il che rende le società quasi ostaggio della spartizione della torta televisiva o di altre variabili come le plusvalenze o i premi per i risultati sportivi.

Come dimostra l’ultimo rapporto dell’agenzia di consulenza e revisione Deloitte, i club europei sfruttano in modo ottimale l’asset stadio di proprietà, in tutte le sue forme di monetizzazione, che arrivano a costituire anche il 20-25% del fatturato. Abbonamenti, biglietti, aree hospitality e premium, naming rights ed il complesso di servizi inclusi, costituiscono un ingente flusso di incassi legati all’impianto, che consente di aumentare i ricavi e di conseguenza gli investimenti e la competitività.

Tuttavia i nuovi impianti moderni e confortevoli (accomunati sempre più a dei salotti) hanno apportato significativi cambiamenti nel modo di intendere e vivere lo stadio, arrivando a delineare la figura del tifoso-cliente. Ne abbiamo parlato con Simone Tosi, sociologo dei processi urbani dell’università Bicocca e studioso della questione stadi.

 

Legge stadi e sostenibilità ambientale: il caso Roma

La disciplina riguardante la costruzione dei nuovi stadi è contenuta in tre commi della legge di stabilità del 2013 (la  147/2013 art. 1 commi 303-306). Il procedimento coinvolge il comune di competenza, che ha 90 giorni dalla presentazione del progetto per decidere se deliberare l’interesse pubblico dell’opera e indire poi la conferenza dei servizi decisoria in regione, che deve concludersi entro 180 giorni. Nella legge si stabiliscono l’obbligo per l’impresa costruttrice di definire e presentare uno studio di fattibilità, corredato da un adeguato piano economico-finanziario e dall’accordo con una o più società sportive che utilizzino l’impianto in modo prevalente. Si possono prevedere altri tipi di strutture funzionali alla fruibilità dell’impianto e al raggiungimento del complessivo equilibrio economico-finanziario dell’opera, nella direzione di uno sviluppo sinergico della destinazione d’uso dell’impianto diversa da quella sportiva, che privilegi  servizi e commercio; mentre nell’ottica di impedire che il rilancio dell’impiantistica sportiva costituisca un pretesto per agevolare interessi di settore, è vietata la realizzazione di nuovi complessi di edilizia residenziale e l’edificazione di aree periferiche verdi.

La prima società che si è trovata a testare le nuove procedure è stata la Roma del presidente James Pallotta. A Trigoria considerano fondamentale la realizzazione del Colosseo moderno. “Lo stadio andrà a incidere sulla nostra posizione finanziaria in modo significativo, aiuterà tremendamente, farà una differenza enorme – ha dichiarato  Pallotta al sito sport360.com – Puoi immaginare l’atmosfera che possiamo creare con l’incredibile emozione dei nostri tifosi così vicini al campo? Un sacco di squadre certamente non si divertiranno a trovare 50mila persone che tifano per la Roma. Ritardi nell’iter? Noi siamo a Roma, questo ha influito”.

Infatti, dopo il cambio di giunta tra Pd e M5s che è intercorso durante l’iter di approvazione, il sogno del nuovo impianto giallorosso è alle prese con una importante revisione del progetto iniziale, che non ha superato la valutazione di impatto ambientale ed è al centro di ipotesi di speculazione, con chi muove l’accusa di voler costruire un intero quartiere.

I rendering dello stadio della Roma,  modificato dall’accordo in Campidoglio del 24 febbraio 2017, senza torri e a cubature ridotte. (Foto Ansa)

In particolar modo Legambiente ha attaccato quello che ha definito l’ecomostro di Tor di Valle, parlando del progetto come di una colata di cemento in merito allo spessore e al numero degli edifici; mentre nel mirino di Italia Nostra, associazione a tutela del patrimonio storico-artistico-naturale, c’è l’area di Tor di Valle, destinata alla costruzione e considerata dall’associazione importante dal punto di vista urbanistico e naturale, oltre che a rischio dissesto idrogeologico. Il fronte dei favorevoli allo stadio sostiene un progetto con investimenti della portata di 1,6 miliardi e che prevede, oltre al complesso dello stadio, la riqualificazione di un’area dove al momento regna il degrado. Dopo le modifiche apportate in seguito alle richieste del Comune, i proponenti hanno ottenuto il placet, ma il percorso è ancora lungo. I tifosi della Roma attendono speranzosi.

L’opinione della vice-direttrice di Italia Nostra, sezione di Roma

Dell’opinione opposta è Fernando Magliaro, giornalista de Il Tempo

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