Appare prima sbigottito, poi il suo tono diventa sempre più concitato. Il maresciallo Massimiliano Colombo Labriola, comandante della stazione dei carabinieri di Tor Sapienza, è al telefono con l’appuntato Gianluca Colicchio, gli sta spiegando che ha ricevuto un’informazione di garanzia con la quale viene avvisato di essere accusato per falso ideologico e materiale nel processo per l’omicidio di Stefano Cucchi.
“Se hanno indagato me, allora dovranno indagare anche Cavallo, Casarsa e Tomasone (suoi superiori)”, dice a Colicchio. “Certo”, gli risponde quest’ultimo, “anche perché è Cavallo che fece richiesta di cambiarle”. Non si tratta di modifiche qualsiasi quelle a cui fa riferimento l’appuntato, ma di quelle effettuate sull’annotazione di servizio relativa stato di salute di Cucchi, che nove anni fa alterarono la realtà dei fatti.
Colicchio, come indicato da Repubblica, è un personaggio chiave nella presunta dissimulazione di quanto accaduto quei giorni poiché, “insieme all’appuntato Francesco Di Sano, è il carabiniere che conosce, come del resto il maresciallo Colombo, la storia di quei falsi”. Sa “chi li ordinò, chi fece pressione perché all’ordine venisse dato corso e dunque come l’intera catena di comando fosse al corrente” di quella che viene definita come una “cruciale manipolazione di atti, destinata a indirizzare la ricerca della verità lontano dai responsabili del pestaggio”.
L’intercettazione è stata eseguita dagli agenti della squadra mobile della Polizia di Stato alle tre del pomeriggio del 22 settembre scorso, prima che il carabiniere Francesco Tedesco rompesse il muro di silenzio sui pestaggi, ed ora è stata depositata agli atti del processo dal pm Giovanni Musarò.
In una vicenda oscura, l’audio dell’intercettazione contribuisce a fare chiarezza e a mettere insieme i pezzi del mosaico giudiziario che sta portando alla verità.