Paolo Magri è il vicepresidente esecutivo dell’Ispi, l’Istituto per gli studi della politica internazionale, uno dei think-tank italiani più prestigiosi che si interessano dei complessi equilibri economici e geopolitici del mondo. A Magri Lumsanews ha chiesto di analizzare alcuni aspetti della strage di Christchurch.
Magri, un attentato del genere in Nuova Zelanda non c’era mai stato. Cosa significa questo evento in quella parte del mondo?
“Significa che gli atti di violenza ispirati dall’odio possono colpire ovunque, bastano pochi individui. Prima parlavamo dei radicalizzati islamici, ma stavolta si tratta di odiatori, capaci di prosperare dappertutto. Anche in Paesi accoglienti e privi di problemi legati all’immigrazione come la Nuova Zelanda”.
Questo attentato affiora dal nulla o è la punta folle di un sentimento diffuso?
“La Nuova Zelanda è un’isola felice, con una popolazione a maggioranza favorevole a rifugiati e immigrati, il 62% stando a una rilevazione del 2018. Ma gli atti d’odio di matrice xenofoba stanno crescendo in tutto il mondo”.
Quali possono essere le ripercussioni geopolitiche di questo doppio attentato?
“Più che sulla geopolitica dovremmo riflettere sul fatto che abbiamo prestato tanta attenzione al terrorismo islamico e troppa poca sulle altre forme di terrorismo, slegate dalla religione e figlie di razzismo e omofobia. Non ci occupiamo abbastanza di questi fatti”.
Dai social dei terroristi anche rimandi a Anders Breivik, autore dell’attentato di Utoya del 2011 con 77 vittime, e all’italiano Luca Traini, attentatore di Macerata, esiste un’internazionale xenofoba con un suo pantheon?
“Noi finora abbiamo commentato la rete virtuale del terrorismo islamico, prima Al Qaeda e poi l’Isis, notando come attentati compiuti in Germania o in Francia fossero ispirati da fonti siriane o irachene. L’attentato di oggi è legato a un’altra rete, anch’essa virtuale ma non strutturata, capace di creare collegamenti tra fatti lontani nello spazio e nel tempo. Questi attentatori hanno citato l’attentatore di Macerata e perfino il doge di Venezia della battaglia di Lepanto (contro i turchi nel 1571, ndr)”.
E’ stato l’attentato più social di sempre, con tanto di diretta Facebook. Cosa abbiamo di fronte?
“E questa è l’altra riflessione da fare. Il terrorismo ha sempre cercato la spettacolarizzazione e colpito nelle date e nei luoghi simbolo. Con l’Isis abbiamo assistito al salto di qualità con le esecuzioni diffuse tramite video di ottima qualità. Adesso per la prima volta la diretta. E’ un elemento nuovo che però rientra in un modo vecchio. Il terrorismo sa comunicare e comunica con tutti”.
Adesso su cosa dovremmo riflettere?
“Ormai sul web ci sono tanti modelli di terrore pronti per l’emulazione. Un tempo nelle camerette di ogni generazione c’erano i poster dei vari ribelli, ora con la rete ci sono tanti modelli di terrorismo, nella grande facilità con qui le violenze di tutto il mondo sono collegate. Pensare che in un altro continente qualcuno abbia sul suo fucile un riferimento all’attentatore di Macerata è sconvolgente e prova questo”.